Come guidare gli altri

Come guidare gli altri

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Come guidare gli altri: le possibili strategie
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La 1° strategia: dire cosa fare
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La 2° strategia: cercare di "convincere"
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La 3° strategia: persuadere
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Le domande per persuadere

Oggi ci occupiamo delle risposta alla più fondamentale delle domande: «Come guidare gli altri?».

In articoli precedenti abbiamo già parlato di:

In questo articolo inizieremo finalmente a parlare di “come” andare in guida, e cioè di come influenzare e persuadere efficacemente gli altri.

Come guidare gli altri: le possibili strategie

Strategie per convincere

Tutti ci troviamo quotidianamente nella situazione in cui vorremmo “convincere” qualcuno di qualcosa; magari a fare o a non fare una determinata azione, a mettere in atto un certo comportamento o a non farlo, o a volte solo della “bontà” delle nostre idee.

Sempre ammesso che il nostro punto di vista sia corretto e appropriato, e a condizione che si rimanga aperti a mettersi in discussione, le possibili “strategie” si possono comunque contare sulla punta delle dita:

  • dire cosa fare;
  • convincere;
  • persuadere.

Andiamo ora a esplorarle una per una.

La 1° strategia: dire cosa fare

Dire cosa fare

Dare a qualcuno un’istruzione, un comando diretto o un ordine, è una delle strategie più comuni ma meno efficaci!

Il motivo per il quale è una delle strategie più comuni è che è la più semplice, ma non funziona.

Certo, se sei in una posizione di comando, in una posizione gerarchicamente superiore a qualcun altro, potresti pensare di usarla.

E chi la usa di solito “sente” di avere il controllo, ma non ce l’ha.

Ti faccio una domanda. Se il tuo capo ti dicesse di fare qualcosa che tu pensi essere inutile, se non addirittura controproducente, quanto saresti efficace nel farlo, sempre ammesso che tu lo faccia?

Ti faccio un esempio pratico. Nella mia azienda, Accademia Italiana di PNL, abbiamo una cultura e un approccio democratico e collaborativo. Condividiamo tutte, ma proprio tutte, le informazioni e le relative decisioni.

Tempo fa ci fu un’unica occasione in cui imposi una decisione, nonostante il parere negativo di uno dei miei più vicini e importanti collaboratori.

Beh, in primo luogo devo ammettere di aver preso comunque la decisione sbagliata, nel senso che il mio collaboratore aveva ragione.

Ma, indipendentemente da questo, quel progetto non andò a buon fine, e non soltanto perché non era giusto per noi in quel momento storico.

Il motivo principale fu che il mio collaboratore non solo non fece nulla per collaborare, ma mise “i bastoni tra le ruote”.

Lesson learned 🙂

La 2° strategia: cercare di “convincere”

Convincere

La seconda strategia consiste nel tentare di “convincere” il proprio interlocutore e anche questa è una strategia estremamente comune e, come la precedente, poco efficace.

Ti faccio un esempio pratico: Carlo e Roberto sono due persone che stanno interagendo e hanno opinioni diverse o esigenze diverse tra loro.

Quello che normalmente accade è che Carlo tenta di convincere Roberto, e di conseguenza Carlo usa una comunicazione “push” e cioè “infarcisce” Roberto del proprio punto di vista e non lo ascolta.

A sua volta, Roberto cerca di convincere Carlo, e di conseguenza, Roberto “infarcisce” Carlo del proprio punto di vista e non lo ascolta.

Perciò, Carlo non ascolta Roberto e Roberto non ascolta Carlo. Uguale a dire che Carlo e Roberto non comunicano.

Come puoi facilmente intuire, anche questa “strategia” è lunga, laboriosa, faticosa, snervante, e non porta da nessuna parte.

La 3° strategia: persuadere

Persuadere

L’ultima strategia, quella che funziona, consiste nel persuadere, e cioè nel far sì che l’altro “ci arrivi da solo”.

Mi spiego di nuovo con un esempio pratico. Immagina che un amico, conversando con te, esprima una convinzione limitante. Qualcosa come: «Non ci si può fidare di nessuno!».

Davanti a un’affermazione di questo tipo, normalmente succede una delle seguenti cose.

La prima: ti metti a piangere sulla sua spalla e gli dici «Hai proprio ragione!». Non particolarmente utile!

La seconda: ti precipiti a dargli il tuo buon consiglio, dicendo qualcosa come «Ma dai, ora dici così solo perché sei arrabbiato, ma sai bene che ci sono tantissime persone degne di fiducia!».

Nella tua esperienza, i tuoi buoni consigli vengono ascoltati? Probabilmente no!

In casi come questo, il tuo buo consiglio rischia di cadere nel buco nero della convinzione limitante del tuo interlocutore. Perciò anche questo non funziona!

La terza cosa che di solito accade: «Ma figurati! Il solito esagerato! Adesso, che non ci si possa proprio fidare di nessuno!».

Affermazioni come queste provocano uno “scontro di opinioni”. Cosa che non solo non serve, ma è addirittura controproducente.

Perciò la domanda rimane: come fare?

Come abbiamo appena anticipato, possiamo fare in modo che il nostro amico ci “arrivi da solo”.

E per poter fare in modo che ci “arrivi da solo” abbiamo a disposizione un primo potente “strumento di pensiero”: le domande di precisione.

Le domande per persuadere

Le domande di precisione

Per farti capire come funzionano praticamente le domande di precisione, riprendo l’esempio di cui sopra.

Torniamo perciò dall’amico che dice «Non ci si può fidare di nessuno!»

In questo caso lo scopo delle nostre domande è quello di fargli trovare un esempio contrario, perché nel momento in cui trova anche un solo esempio contrario, non è più vera l’affermazione: «Non ci si può fidare di nessuno»

Perciò, potremmo chiedere: «Quindi mi stai dicendo che non ti fidi neppure di me?».

Oppure: «Quindi mi stai dicendo che io non mi posso fidare di te?».

Quest’ultima domanda è particolarmente efficace, perché è alquanto improbabile che l’amico pensi che non ci si possa fidare di lui.

Come puoi ben immaginare, magari una sola domanda non basta, ma è solo l’inizio di un processo.

Un’altra cosa che potresti fare è quella di esagerare, dicendo qualcosa come: «Mi stai forse dicendo che non è possibile fidarsi di nessuno mai?».

Quando esageri, quello che succede è che l’amico ti dica: «Ma no, esagerato! Non è quello che intendevo».

E a questo punto, tu fai come il Tenente Colombo, che sembra scemo ma che scemo non è, e chiedi: «Ah! Cosa intendevi allora specificatamente?».

In un prossimo articolo, ti parlerò più precisamente di questo primo importante strumento di guida:

  • ti presenterò tutte le domande di precisione, una dopo l’altra
  • ti racconterò come usarle in qualsiasi tipo di contesto e di situazione.
Siamo tutti connessi

Siamo tutti connessi

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Le prove della scienza
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Le conclusioni della scienza
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Le prove della fisica quantistica
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Le prove dell'epigenetica
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Le prove dell'etologia
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Le prove della neurologia

«Siamo come isole nel mare, separate in superficie, ma connesse nel profondo»
William James

Ho voluto iniziare con questa citazione di William James, che esprime perfettamente il concetto fondamentale del quale oggi ti voglio parlare: a livello profondo siamo tutti connessi.

Nella nostra società occidentale, capitalistica, tecnologica e industrializzata, potrebbe sembrare un concetto controintuitivo, perché siamo stati “educati” a credere l’esatto contrario.

Siamo stati culturalmente condizionati, anche grazie al lavoro di Charles Darwin, a credere fortemente nella scarsità delle risorse e nella sopravvivenza del più forte.

Si è così sviluppata nel tempo una cultura dominante orientata all’individualismo e alla prevaricazione.

Attualmente però, la nuova “scienza di frontiera”, in numerose discipline,  come la biologia, la neurologia, la sociologia e altre ancora, sta dimostrando che la condizione di lotta, di affermazione di sé anche a discapito degli altri, d’isolamento e divisione non è la nostra condizione o tendenza naturale.

Le prove della scienza

Le prove della scienza

Al contrario, alla luce di nuove ricerche, esperimenti e conoscenze, sembra che la nostra inclinazione naturale come esseri umani sia quella della connessione e della reciproca collaborazione.

In un articolo precedente abbiamo visto quanto siano importanti il contatto e le relazioni umane per il nostro benessere generale, la nostra crescita e perfino per la nostra salute e longevità.

In questo articolo vedremo cosa significa esattamente la dichiarazione: “siamo tutti connessi”.

Sono consapevole che si tratti di un’affermazione a prima vista poco chiara, che potrebbe voler dire tutto ma anche niente!

Lynne McTaggart, giornalista e autrice di fama internazionale, che da sempre si occupa di scienza, nel suo bellissimo libro che, non a caso, si chiama “The bond” e cioè “Il Legame” (Titolo italiano: Il legame quantico), ce lo spiega.

L’autrice porta numerosissime evidenze scientifiche di quanto dicevamo, e cioè del fatto che:

  • la nostra condizione naturale sia uno stato di profonda connessione uno con l’altro;
  • la nostra naturale propensione e spontanea inclinazione sia quella della condivisione e della reciproca collaborazione.

Le prove e le evidenze che riporta provengono da diverse discipline:

 

  • la fisica quantistica, e cioè la fisica delle particelle subatomiche;
  • l’epigenetica, che è una branca della genetica che studia i cambiamenti ereditari nell’espressione genica che, a differenza delle mutazioni, non dipendono da cambiamenti nella sequenza del DNA. Secondo l’epigenetica, intensi stimoli ambientali (per es. dieta e attività fisica) sono in grado di attivare o spegnere determinati geni;
  • l’etologia, che è una disciplina che studia le abitudini e i costumi degli animali, e l’adattamento delle piante all’ambiente;
  • la neurologia, settore della medicina che studia il sistema nervoso.

Le conclusioni della scienza

Le conclusioni della scienza

Come Lynne McTaggart documenta nel suo libro “The Bond“, la scienza dimostra che tutto il creato, dai pianeti alle piante, dagli esseri umani alle formiche, è una sorta di “superorganismo” in continua mutazione.

Un immenso campo di energia impegnato in un costante e gigantesco scambio dinamico, nel quale ogni elemento interagisce e scambia costantemente informazioni con tutti gli altri.

I confini tra ogni cosa sembrano essere così sottili e indefiniti da arrivare a dire che nulla esiste indipendentemente, da chiedersi insomma dove finisca una cosa e ne inizi un’altra.

Sono consapevole che tutto questo, raccontato in termini così generali, possa apparire nebuloso e poco comprensibile.

In articoli successivi ti parlerò molto più dettagliatamente delle ricerche, degli esperimenti e delle prove che ognuna delle suddette discipline scientifiche porta a sostegno di questa tesi.

E se tutto questo è vero, come la scienza sta dimostrando esserlo, allora forse il nostro primo dovere come esseri umani è quello di riorientarci verso quello stato di naturale connessione che è la nostra condizione naturale.

Come poterlo fare? Anche solo divulgando queste informazioni e diffondendo la gentilezza.

Le prove della fisica quantistica

Siamo tutti connessi - Le prove della fisica quantistica

La fisica quantistica dimostra che le particelle subatomiche non funzionano secondo le stesse leggi fisiche che regolano il funzionamento dei “corpi grandi”, e cioè della materia come la conosciamo, che sia un’auto o una mela.

È controintuitivo, ma la materia, al suo livello più elementare, sembra essere fatta di qualcosa di diverso dalla materia stessa, e questo ha delle profonde implicazioni.

La McTaggart scrive:

«Una particella quantistica può esistere sia come particella, un oggetto solido, analogo a una pallottola, che come “funzione d’onda”, una grande regione diffusa dello spazio e del tempo, di cui la particella può occupare ogni angolo».

A tal proposito riporto anche un passo tratto dal bellissimo libro “Cambia l’abitudine di essere te stesso” di Joe Dispenza.

«Gli atomi sono formati essenzialmente da uno spazio vuoto; gli atomi sono energia.

 

Pensa a questo: tutto quello che c’è di fisico nella tua vita non è fatto solo di materia solida, ma piuttosto di campi di energia o da schemi ritmici di informazioni.

 

Tutta la materia è piuttosto “nessuna cosa” (energia) che “qualche cosa” (particelle) […]

L’atomo è al 99,99999 per cento energia e allo 0,00001 per cento materia. A livello di materia è quasi inesistente.»

Ma non è tutto qui!

Il collasso della funzione d’onda

Le particelle subatomiche, che si pensava fossero la materia che costituisce la materia, non solo non lo sono, ma hanno anche strani e inaspettati comportamenti.

Non essendo io una scienziata e tantomeno una fisica, lo spiego sempre attraverso le parole di chi ne sa più di me e ti ripropongo di nuovo un brano tratto dal libro del dr. Dispenza e più precisamente da un capitolo intitolato: “La creazione della realtà: l’energia risponde all’attenzione consapevole”

«Gli studiosi di fisica quantistica hanno scoperto che la persona che osserva (o misura) le minuscole particelle che formano l’atomo ne influenza il comportamento, l’energia e la sostanza.

 

Gli esperimenti quantistici hanno dimostrato che gli elettroni esistono simultaneamente in un’infinita gamma di possibilità e probabilità, e in un invisibile campo d’energia.

 

Ma è solo quando l’osservatore si concentra sulla posizione di un elettrone che quel dato elettrone appare.

 

In altre parole, una particella non può manifestarsi nella realtà, ossia nella nostra dimensione spazio temporale, finché non la osserviamo».

Le conclusioni che Lynne McTaggart trae, sempre nel suo libro “Il legame quantico”, è che siamo tutti parte di un unico tutto.

Ma preferisco che tu legga le sue stesse parole, che riporto qui di seguito, così che tu possa comprendere come tutto ciò che abbiamo appena visto dimostri che “siamo tutti connessi”.

Tratto da “Il legame quantico” di Lynne McTaggart

«Le particelle subatomiche come gli elettroni e i fotoni di per sé non sono ancora una vera e propria “cosa”.

Gli atomi non sono piccoli sistemi solari di palle da biliardo, ma piuttosto una piccola nube caotica di probabilità, esistendo in molti luoghi simultaneamente, in uno stato di “puro potenziale” o, come lo chiamano i fisici, di “sovrapposizione”; la somma di tutte le probabilità […]

In uno stato quantistico una particella esiste come collezione di tutti i possibili futuri simultaneamente, simile a una catena di bambole di carta replicata all’infinito.

Un elettrone “probabilmente” esiste finché gli scienziati non lo individuano ed effettuano una misurazione: soltanto a quel punto i suoi molteplici sé collassano e l’elettrone si stabilizza in un unico stato di esistenza […]

La materia nel mondo subatomico non può essere compresa isolatamente, ma soltanto all’interno di una complessa rete di relazioni, eternamente inscindibili […]

La relazione più irriducibile di tutte può essere quella tra la materia e la coscienza che la osserva: ciò che alla fine rende qualunque cosa reale è l’alchemico Legame tra osservatore e osservato […]

Non c’è nessun “noi” e “loro”, soltanto un “noi” in costante trasformazione. Con ogni respiro che facciamo co-creiamo il nostro mondo […]

I confini tra voi e chiunque altro sono sfuocati, dato che sono regolati da un complesso mix di scariche neuronali che hanno origine dall’interno e dall’esterno della vostra testa».

Le prove dell’epigenetica

Siamo tutti connessi - Le prove dell'epigenetica

L’epigenetica ha dimostrato che l’ambiente esterno può modificare l’espressione dei geni.

Ma come si è arrivati a queste conclusioni? Per comprenderlo al meglio abbiamo bisogno di un po’ di storia: cosa credevamo prima e cosa la scienza ha dimostrato oggi.

Per raccontare questa storia, riporto nuovamente alcuni brani tratti dal già citato libro della McTaggart.

L’evoluzione secondo Darwin

«Darwin descrisse l’evoluzione della specie essenzialmente come caso fortuito. Tutta la sua teoria della selezione naturale poggia su tre presupposizioni di base:

 

  1. tutti gli organismi discendono da un antenato comune;
  2. nelle specie i nuovi tratti evolvono attraverso mutazioni casuali;
  3. tali tratti persistono solo se aiutano la specie a sopravvivere.

Egli riteneva che le mutazioni avessero luogo all’interno degli organismi individuali essenzialmente come una sorta di errore di trascrizione tramandato alla discendenza.

 

Qualunque cambiamento permanente derivante da queste mutazioni permarrebbe all’interno di una specie unicamente se questo errore genetico provvedesse i membri di tale specie di un vantaggio per la sopravvivenza».

L’evoluzione secondo Lamarck

«Sul versante opposto, Lamarck vedeva l’evoluzione come un’impresa cooperativa tra un organismo e il suo ambiente.

 

Egli credeva “nell’ereditarietà dei caratteri acquisiti”, ovvero che un organismo, acquisendo determinate caratteristiche nel corso della sua vita in risposta alle sfide ambientali, avrebbe trasmesso tali caratteristiche alla sua discendenza.

 

Egli concluse che un organismo rispondeva al bisogno di evolvere e che questo bisogno produceva adattamenti favorevoli».

Comunque sia, entrambi credevano che il nostro “destino” fosse scritto nel nostro codice genetico e da questo determinato. Credevano inoltre che ogni cambiamento e/o adattamento alle sfide ambientali richiedesse eoni.

L’epigenetica

Waddington dimostrò, attraverso un esperimento sui moscerini della frutta, che le condizioni ambientali possono alterare il progetto genetico.

Ogni cellula del nostro corpo svolge specifiche funzioni, ma per poterle svolgere ha bisogno di un segnale esterno.

La membrana di ogni cellula contiene centinaia di migliaia di recettori. Questi regolano la funzione cellulare accendendo o spegnendo un certo gene anche in funzione di segnali ambientali: il cibo che consumiamo, l’aria che respiriamo, le tossine a cui siamo esposti, la qualità delle nostre relazioni sociali, il nostro stato d’animo e il nostro livello di soddisfazione nella vita.

Per dirlo in modo semplice, potremmo dire che le “condizioni ambientali” vincono sulla programmazione genetica, attivando e disattivando determinati geni.

L’esperimento di Waddington

Per rendere evidente nella pratica il significato di quanto sopra affermato ti racconto di un esperimento, che troverai sempre nel libro della McTaggart,  svoltosi sui topi agouti.

I topi agouti sono topi che hanno un difetto genetico. A causa di questo difetto genetico il loro pelo è giallo invece che marrone, sono estremamente pigri, spesso enormemente obesi, con una tendenza a sviluppare diabete e cancro.

L’esperimento consistette nel nutrire la metà delle femmine aguoti con una dieta integrata da vitamina B prima di rimanere incinte, durante la gravidanza e l’allattamento, mentre l’altra metà riceveva soltanto cibo normale.

I risultati dell’esperimento: non solo i ricercatori scoprirono un’evidente differenza nel codice genetico dei topi le cui madri avevano ricevuto gli integratori, ma i cambiamenti nell’espressione genica furono evidenti anche a livello fisico.

Infatti, i topolini nati dalle madri che ricevettero la dieta arricchita, in una percentuale significativa, erano di un normale colore marrone e meno suscettibili alle suddette patologie. Inoltre, a differenza delle loro madri, la generazione successiva di topi visse una vita di durata normale.

A questo proposito Lynne McTaggart scrive le seguenti parole.

La relazione tra ambiente e alterazioni del codice genetico

«Questa fu la prima prova dell’esistenza di una chiara via causale tra l’ambiente di una madre animale e le alterazioni permanenti in un aspetto del codice genetico della sua discendenza […]

I geni, ben lungi dall’essere il centro di controllo, esistono, proprio come le particelle subatomiche, solamente come potenziale, per essere o non essere attivati da segnali esterni al nostro corpo.

La ricerca oggi indica che l’informazione in realtà si propaga in senso opposto, ovvero dall’esterno all’interno.

Un segnale ambientale di un certo tipo avverte il corpo che è necessario un determinato prodotto proteico, ed è il segnale ambientale esterno che attiva una particolare espressione genica.

L’intricato assortimento d’influenze ambientali alle quali veniamo esposti nel corso della nostra vita, di fatto determina l’espressione finale di ogni gene del nostro corpo.

I geni vengono attivati, disattivati o modificati dalle circostanze e dall’ambiente della nostra vita: ciò che mangiamo, le persone di cui ci circondiamo e il modo in cui trascorriamo la nostra vita.

Il nostro corpo fisico è il prodotto finale di una relazione

«Come le particelle subatomiche, il nostro corpo fisico non è un’entità separata, bensì il prodotto finale di una relazione […].

Uno dei più importanti interruttori ambientali può essere la qualità del nostro Legame con un gruppo sociale […]

La relazione tra un essere vivente e il sua ambiente è una conversazione ininterrotta a doppio senso. Nonostante gran parte di tale conversazione venga tracciata nei primi stadi della nostra esistenza, essa è una relazione per la vita, dinamica, fluida e addirittura reversibile.

Noi siamo un bilanciamento d’influenze interne ed esterne, di programmazione precoce e tardiva, costantemente trasformato dall’influenza di ogni istante.

Queste nuove scoperte suscitano l’inquietante domanda: dov’è esattamente che “voi” finite e il resto dell’universo inizia? Se interiorizzate e cambiate con ogni interazione con l’universo, con ogni particella di cibo che mangiate, cosa significa questo esattamente per voi? Come potete essere considerati autonomi?».

Le prove dell’etologia

Le prove dell'etologia

L’attività del sole e i fermenti sociali

Come di consueto in questo articolo, inizio a raccontarti questa parte della storia attraverso le parole della McTaggart, prese sempre dal libro “The Bond“.

Nel 1922 Alexander Chizhevsky, giovane scienziato bielorusso, rivelò al mondo una teoria assurda: tutti i grandi sollevamenti della storia umana, come fermenti sociali, guerre e rivoluzioni erano provocati dall’attività del Sole.

All’epoca, questa nuova teoria, come spesso accade alle nuove teorie, venne contrastata in tutti i modi possibili e immaginabili, ma nel tempo venne rivalutata e Chizhevsky divenne un riferimento se non addirittura un eroe.

L’attività del sole e i cicli economici

Anni dopo, in America, l’economista Edward Dewey raccolse l’eredità di Chizhevsky per spiegare i cicli economici di boom e di crollo.

Successivamente, negli anni ’70, il biologo e fisico Franz Halberg, studiò a fondo gli effetti delle influenze ambientali esterne sugli esseri viventi.

La Cronobiologia

Fu proprio Halberg a coniare il termine “Cronobiologia“, scienza che studia i cicli ricorrenti della funzione biologica e a fondare la più importate istituzione  per lo studio e la ricerca in questo campo, i Chronobiology Laboratories (Laboratori di Cronobiologia) dell’Università del Minnesota.

Halberg, nel corso della sua ricerca, insieme alla sua collaboratrice Cornélissen, scoprì che i processi biologici di ogni creatura vivente seguono ritmi giornalieri, settimanali, bisettimanali, annuali.

Nel tentativo di spiegare la causa dei ritmi biologici, finì per trovarsi d’accordo con le teorie di Chizhevsky: l’elemento o fattore che sincronizza questi ritmi biologici è un segnale ambientale esterno all’individuo, il più importante dei quali sono i campi magnetici solari.

Ma non è tutto qui, sembra che non solo il sole, ma anche la luna e addirittura gli altri pianeti interagiscano continuamente tra di loro, influenzandosi a vicenda e influenzando a loro volta tutte le creature viventi.

Insomma, per farla breve, un’enorme quantità di dati ed evidenze scientifiche dimostrano che gli esseri viventi risuonano in sintonia con il cosmo.

 

Come l’etologia dimostra che “siamo tutti connessi”

«Dobbiamo sviluppare un apprezzamento maggiore per il fatto di vivere all’interno di un legame cosmico d’interrelazioni complesse e in continuo mutamento.

Piuttosto che oggetti discreti, gli essere viventi e la Terra stessa sono parte di un sistema energetico dipendente da altre forze esterne, gravitazionali e geomagnetiche.

Halberg guarda questo effetto in una prospettiva poetica: l’organismo vivente, dice, dev’essere visto come una dinamo e un magnete, che vivono sulla terra, un magnete più grande, nell’atmosfera del Sole… con tempeste magnetiche che provocano blackout nelle città e… nei cuori umani.

L’importanza della scoperta di Chizhevsky e delle prove di Halberg non possono essere sopravvalutate. Se siamo essenzialmente alla mercé del minimo movimento del Sole  e della sua attività, il loro lavoro si erge come una gigantesca confutazione della nostra mal riposta convinzione di essere i padroni dell’universo, o addirittura di noi stessi.

La Terra, i suoi abitanti e tutti gli altri pianeti che ci circondano esistono all’interno di una sfera d’influenza collettiva, risonanti all’unisono.

Il nostro zeitgeber è l’effetto collettivo di tutto il sistema solare. In ultima analisi, è difficile considerare il nostro universo come qualcosa di diverso da un insieme unificato.

Possiamo iniziare ad assumerci la responsabilità del nostro destino solo quando consideriamo il Legame nella sua interezza, come un superorganismo, completamente interrelato».

Le prove della neurologia

A proposito delle prove della neurologia ti parlerò di una famosa scoperta che avvenne presso l’Università di Parma grazie a un neurologo italiano, Giacomo Rizzolatti.

Una scoperta delle quale abbiamo già accennato in un articolo precedente: “Crea una relazione di fiiducia

Il professor Rizzolatti era particolarmente interessato alla funzione cognitiva nel movimento. Il suo scopo era quello di comprendere l’esatta sequenza cerebrale che trasforma l’informazione visiva in azione. Per dirlo in modo ancora più semplice, Rizzolatti voleva capire cosa succede nel cervello nel breve istante che intercorre tra il momento in cui vediamo qualcosa e il momento in cui allunghiamo la mano per prenderla.

A questo scopo, svolgeva degli esperimenti con delle scimmie, dei macachi pigtail e una costosissima apparecchiatura che emetteva un segnale sonoro ogniqualvolta un neurone scaricava.

Il poter prendere nota dell’esatto momento in cui un neurone scaricava gli consentiva di capire quali neuroni cerebrali fossero coinvolti nella sequenza motoria del movimento.

La scoperta dei neuroni specchio

Ciò che avvenne è semplice, ma portò a una scoperta rivoluzionaria: mentre uno dei ricercatori del team di Rizzolatti allungava la mano per prendere un oggetto, la macchina segnalò che i neuroni della scimmia che lo stava osservando, stavano scaricando.

Al momento, Rizzolatti e il suo team non diedero molta importanza a quanto avvenuto, perché pensarono che la scimmia avesse mosso leggermente un dito o la mano o che ci fosse un difetto nel funzionamento dell’apparecchiatura.

Tutto questo si ripetè per mesi e gli scienziati continuarono a liquidare il fatto giustificandolo in un modo o nell’altro, ma infine compresero di non poter più ignorare il fenomeno e decisero di indagarlo.

Si rese conto così di qualcosa di totalmente inaspettato: lo stesso identico neurone della scimmia che scaricava quando lei intendeva afferrare un oggetto, scaricava anche quando osservava qualcun altro afferrarlo.

In tutto questo, un aspetto affascinante è che il neurone della scimmia scaricava non solo quando osservava un’altra scimmia prendere un oggetto, ma anche quando osservava un umano, creatura di una specie diversa.

La conclusione a cui giunse Rizzolatti è che i primati, come gli esseri umani, comprendono le azioni altrui simulando l’esperienza, come se stesse accadendo a loro.

Perciò, la funzione di questi neuroni “pappagallo”, che chiamò “neuroni specchio” sembrava essere duplice:

  • stimolare i muscoli all’azione
  • comprendere l’azione altrui.

Dal movimento all’emozione

Nel tempo Rizzolatti e il suo team scoprirono che i neuroni specchio non si limitano a replicare e a prendere nota del movimento altrui, ma sono anche capaci di replicare e prendere nota delle emozioni altrui.

Perciò, le stesse aree del nostro cervello che si attivano quando sperimentiamo emozioni come la gioia o il dolore, si attivano anche quando osserviamo qualcun altro sperimentare emozioni.

Lo scopo dei neuroni specchio è quindi quello di capire cosa stia facendo un’altra persone e come si senta al riguardo.

L’importanza dell’obiettivo

Ma la storia non finisce qui. Proseguendo nelle sue ricerche, Rizzolatti si rese conto che tutto questo è vero a una condizione: l’obiettivo dell’azione osservata deve essere chiaro.

Per dirlo in altro modo: se l’obiettivo dell’azione osservata non è chiaro, i neuroni specchio non scaricano.

Perciò, lo scopo dei neuroni specchio non è soltanto quello di capire cosa stia facendo un’altra persone e come si senta al riguardo, ma anche quello di capire perché lo stia facendo.

«Come l’opera dello scienziato chiarisce, la percezione del mondo non è una faccenda individuale, limitata alle nostre capacità mentali, bensì un processo che implica una condivisione di circuiti neurali.

Noi interiorizziamo l’esperienza altrui in ogni istante, automaticamente e immediatamente, senza alcuno sforzo consapevole, utilizzando una stenografia neurale creata dalla nostra stessa esperienza.

Nell’atto stesso di collegarci con qualcuno, anche al livello più superficiale, siamo coinvolti in una relazione di massima intimità.

La comprensione delle complessità del nostro mondo, avviene attraverso la costante fusione dell’osservatore con l’osservato.

Keysers riconosce che ci sono sempre due punti di vista nell’atto della percezione: «Durante la maggior parte delle interazioni sociali non c’è un singolo agente e un singolo osservatore”, egli scrive. «Entrambi i partner sono allo stesso tempo osservatori e agenti, allo stesso tempo fonte e bersaglio del contagio sociale che il sistema dei neuroni specchio trasmette»

Osservare qualcuno è interiorizzare immediatamente il suo punto di vista. Questo significa che l’atto stesso dell’osservare un’altra persona ci coinvolge immediatamente in un Legame in cui noi, il soggetto, ci fondiamo con il nostro oggetto.

Per così dire, per poter comprendere un’altra persona, dobbiamo temporaneamente fonderci con lei […]

L’atto della percezione è un momento di perfetta unione, non importa con chi».

Entrainment

“Entrainment” significa “trascinamento” ed è una parola che descrive diversi fenomeni.

In questo caso si riferisce alle onde cerebrali di due o più cervelli che entrano in sintonia, proprio come se le frequenze elettriche dei cervelli si “trascinassero” reciprocamente.

Il che significa che le onde elettriche dei cervelli di due o pià persone sono “coerenti” le una con le altre:

  • la frequenza e l’ampiezza delle onde cerebrali è la medesima;
  • le onde cerebrali giungono simultaneamente ai picchi e agli avvallamenti.

Questo avviene in diverse circostanze, e particolarmente;

  • tra la mamma e il bambino quando sono insieme;
  • quando due persone fanno qualcosa insieme con un unico scopo.

Sempre nel suo libro “The Bond“, la McTaggart riporta numerose evidenze scientifiche di questo fenomeno di spontanea e naturale “risonanza” tra le menti di noi esseri umani.

La nostra luce

Un’altra storia affascinante è quella che ci racconta Fritz-Albert Popp, fisico tedesco.

Nel 1970, Popp scoprì che ogni creatura vivente, dalla più complessa, come gli esseri umani, alla più semplice come le piante unicellulari, emette una piccola corrente di fotoni, o luce, che egli chiamò “emissioni biofotoniche”.

Popp, e una quarantina di altri scienziati in tutto il mondo, studiarono le emissioni biofotoniche per oltre 30 anni e fecero molte scoperte interessanti.

Secondo questi scienziati gli organismi viventi utilizzano questa luce come mezzo di comunicazione, sia al proprio interno che con il mondo esterno.

Verso l’interno:

  • le emissioni biofotoniche operano nel DNA, dando origine a certe frequenze all’interno delle molecole delle singole cellule;
  • piuttosto che il DNA, è proprio questa debole radiazione il vero conduttore di tutti i processi cellulari del corpo.

Verso l’esterno:

  • gli esseri viventi assorbono reciprocamente la luce emessa dall’altro. Quando un organismo assorbe le onde luminose di un altro invia poi, di rimando, schemi d’interferenza d’onda.  In questo modo, gli organismi viventi scambiano informazioni, come se stessero conversando.

Il lavoro di Popp dimostra che con questa piccola corrente di emissioni biofotoniche noi creiamo un Legame quantistico con il nostro mondo. Con ogni momento di veglia, noi assorbiamo la luce di qualcos’altro.

Guidare gli altri

Guidare gli altri

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Quando andare in guida
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Come testare il rapport

In un’articolo precedente (Crea una relazione di fiducia) abbiamo visto quanto si indispensabile creare una relazione di fiducia per poter guidare gli altri.

In un’altro articolo precedente (Come creare una relazione di fiducia) abbiamo parlato di come costruire “rapport”, e cioè la famosa relazione di fiducia, che, ripeto, è il presupposto indispensabile affinché si possa poi andare “in guida”.

Ora vediamo cosa s’intende esattamente con l’espressione “andare in guida” e come e quando poterlo fare.

Uno dei miei maestri, in aula, quando si apprestava a parlare del “guidare gli altri”, chiedeva provocatoriamente: «Chi di voi è nel business della manipolazione?».

La risposta vera è: tutti lo siamo! Per esempio, potresti voler convincere i tuoi figli a studiare, il tuo capo a darti un aumento, o il tuo partner ad andare in vacanza in montagna piuttosto che al mare.

Certo, bisogna precisare cosa s’intende con la parola “manipolazione”, che di per sé, nella percezione della maggior parte delle persone, ha una connotazione negativa.

Secondo il vocabolario Treccani “manipolare” ha diversi significati, tra i quali: “Lavorare una sostanza plasmabile, o un impasto, lavorandoli con le mani”.

Nel mondo delle relazioni interpersonali, secondo il modello “ricalco – guida”, significa semplicemente “persuadere” o, come dice bene Jerry Richardson, nel suo libro “Introduzione alla PNL”, condurre l’altro verso una nuova consapevolezza.

A questo proposito ti riporto un passaggio del libro “Introduzione alla PNL” di Jerry Richardson.

Il passo successivo: guidare

«Quando hai ottenuto il rapport con un’altra persona, lei è pronta a seguire la tua guida, cioè quando tieni il passo di una persona, questa è disposta a seguire il passo successivo che farai.

Puoi pensare allo schema generale in questo modo:

  • ricalcare è fare qualcosa di simile a quello che sta facendo l’altra persona;
  • guidare è fare qualcosa di diverso da quello che sta facendo l’altro.

Quando sei insieme a qualcuno, o stai ricalcando (facendo qualcosa di simile) oppure stai guidando (facendo qualcosa di diverso), rispetto a qualsiasi dimensione di comportamento che prendi in considerazione. Non ci sono altre possibilità.

Se il tuo obiettivo primario è di andare semplicemente d’accordo con l’altra persona, allora ricalcare alcuni aspetti del suo comportamento è sufficiente.

Ma se il tuo obiettivo è persuaderla, condurla verso una nuova consapevolezza, allora devi guidare.

In generale, la strategia migliore è di ricalcare prima, poi guidare.

Incontra l’altra persona dove è già, e poi suggerisci qualche nuova possibilità.

Quest’approccio funziona più frequentemente e più efficacemente di qualsiasi altro.

A volte non è appropriato guidare troppo velocemente, e a volte potrebbe essere più saggio lasciar perdere e non cercare affatto di guidare.

Le diverse situazioni, detteranno diversi approcci. Ma, come regola, la strategia del ricalco/guida è un modo efficace di persuadere».

Tratto da: Introduzione alla PNL, di Jerry Richardson.

 

Riassumendo

Il modello “ricalco e guida” rappresenta le fondamenta della costruzione di un ponte di comunicazione con gli altri:

  • ricalco: adegui alcune porzioni del tuo comportamento al comportamento del tuo interlocutore, fai “quello che fa lui”;
  • guida: cominci a fare “qualcosa di diverso” con l’intento di persuadere, di condurre il tuo interlocutore verso una nuova consapevolezza.

Ti ricordo che lo scopo del ricalco è proprio quello di poter andare “in guida”.

Per essere ancora più precisi, vuoi ottenere una relazione di fiducia (rapport) attraverso il ricalco, perché il rapport è ciò che ti fa guadagnare il diritto di poter andare in guida.

Quando andare in guida

Guidare gli altri - quando andare in guida

Una volta compreso il modello “ricalco – guida” e il significato dell’andare in guida, la domanda che sorge spontanea è: «Come faccio a capire quando è arrivato il momento di andare in guida?», «Come faccio a capire quando ho ricalcato a sufficienza per poter andare in guida?».

Di solito le persone rispondono dicendo cose come: «Quando mi sento a mio agio», «Quando ho la sensazione che l’altro si senta a suo agio», «Quando ho la sensazione che ci sia feeling».

Tutto giusto; è bene fidarsi del proprio istinto e delle proprie sensazioni, ma sappiamo anche che istinto e sensazioni non sono infallibili.

Oppure, altre risposte frequenti sono frasi come: «Quando il mio interlocutore è attento e sorride».

Anche questa è un’osservazione corretta, e tuttavia devi tener presente che “l’altro” potrebbe essere semplicemente gentile, potrebbe comportarsi “come se” fosse interessato per formale cortesia, che è diverso dall’essere in rapport.

Quindi, come fare? Esiste un modo per verificare davvero di essere andati in in ricalco abbastanza da aver creato rapport? Esiste un modo per “testare il rapport” e capire così di poter ora andare in guida?

Come puoi ben immaginare, fortunatamente, la risposta a queste domande è affermativa.

Vediamo ora di comprendere “quando” possiamo andare in guida e perché, costruendo insieme la logica che ci porta a capire come verificare il rapport.

In linea di principio, la logica suggerisce che puoi cominciare ad andare in guida quando l’altro è disposto a seguirti.

Bella scoperta, potresti dire, ma è proprio questo il punto: come diavolo faccio a capire quando l’altro è disposto a seguirmi?

Ti ricordi il fenomeno dell’isopraxismo? Quando le persone si sentono a proprio agio l’una con l’altra, il loro comportamento tende in modo naturale ad adeguarsi reciprocamente.

Perciò, pensa a questo: stai comunicanco con qualcuno e sei in ricalco, cioè stai facendo quello che fa lui, con l’obiettivo di creare rapport.

Per verificare il rapport non devi far altro che “fare qualcosa di diverso” da quello che sta facendo l’altra persona. Se si è creato rapport, l’altro tenderà naturalmente a seguirti (isoprassismo).

Come testare il rapport

Per aiutarti a comprendere esattamente come testare il rapport nella pratica, risporto qui sotto due brevi brani tratti sempre dal libro “Introduzione alla PNL” di Richardson.

Guidare gli altri - Come testare il rapport

Come testare il rapport a livello non verbale

«Prima di tentare di guidare l’altra persona, sarebbe una buona idea scoprire se hai davvero stabilito il rapport.

Questo si può fare in modo discreto prima a livello non verbale, sincronizzandosi con alcuni aspetti del suo linguaggio corporeo, come ad esempio, una posizione del corpo.

Rispecchia l’altra persona per un breve periodo di tempo (un paio di minuti dovrebbero essere sufficienti, almeno all’inizio), poi cambia la tua posizione e aspetta di vedere se risponde.

La reazione potrebbe essere uno spostamento verso una posizione che rispecchi la tua nuova posizione, oppure potrebbe semplicemente trattarsi di un movimento, un “sistemarsi” da parte dell’altro, per recuperare l’equilibrio del sistema.

Quello che stai cercando qui è una reazione congruente, o complementare, da parte dell’altra persona.

Se si verifica, ti dirà che hai rapport a livello non verbale e che questo potrebbe essere un buon momento per guidare verbalmente, per suggerire l’idea che vuoi sia presa in considerazione dall’altro».

Tratto da: Introduzione alla PNL, di Jerry Richardson.

 

Come testare il rapport a livello verbale

«Potresti anche verificare la tua guida a livello verbale. Nel gergo della vendita, questo si chiama spesso “chiusura di prova”; il porre una domanda guida per scoprire se il possibile cliente è ricettivo. Un’interazione di questo tipo potrebbe svolgersi come segue.

Tu: (Cambiando posizione) John, siamo d’accordo sul fatto è che il problema qui è che l’assenteismo e i ritardi ti costano un sacco di soldi, sia direttamente che indirettamente?

John: (Spostandosi leggermente nella tua direzione, rispecchiano in parte la tua postura) Si, è diventato un problema serio. Dobbiamo fare qualcosa.

Tu: (Sentendo di avere a questo punto il rapport e di essere in accordo e in linea sia a livello verbale che non verbale) Quello che vorrei suggerire è di prendere in considerazione di passare a un orario flessibile per ridurre il problema. Cosa ne pensi?»

Tratto da: Introduzione alla PNL, di Jerry Richardson.

 

Guidare gl altri - E se non funziona?

E se non funziona?

Cosa fare invece se, una volta che sei andato in guida, l’altro non ti seguisse?

Come ti devi comportare quando il tuo interlocutore si oppone alla tua guida?

È molto semplice, non ti resta che essere paziente: smetti immediatamente di tentare di andare in guida e torna a ricalcare.

Come creare una relazione di fiducia

Come creare una relazione di fiducia

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Indice

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Un viaggio da "fuori" a "dentro"
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Ricalco non verbale
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Ricalco paraverbale
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Ricalco verbale
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Il ricalco di valori, convinzioni e interessi
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È arrivato il momento di andare in guida
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Per concludere

Come dice il titolo stesso, in questo articolo parleremo di come creare una relazione di fiducia con gli altri.

Nell’articolo precedente abbiamo visto quanto sia importante creare una relazione di fiducia con le persone, così da poterle guidare.

Sempre nello stesso articolo, abbiamo cominciato a parlare del “come” poterlo fare, ma qui entreremo molto più nel dettaglio.

Ti dico questo perché, se tu non avessi ancora letto l’articolo precedente, ti suggerisco di farlo prima di passare a questo.

In ogni caso riassumo brevemente l’idea generale del “come” creare una relazione di fiducia.

Tieni presente che, come dice Richar Bandler, il cervello umano impara notando le differenze, ma ama quello che è uguale.

Perciò, se vuoi creare una relazione di fiducia, dovrai adeguare alcune porzioni del tuo comportamento al comportamento dell’altro.

In questo modo il tuo interlocutore si riconoscerà in te, e questo creerà un ponte di comunicazione e le basi per un rapporto di reciproco benessere e fiducia.

In due parole, stiamo parlando di quello che in PNL si chiama “ricalco” o “pacing”, e qui di seguito voglio riportarti ancora la definizione di “ricalco”, già proposta nell’articolo precedente.

Ricalco

Andare incontro alla persona nel punto in cui si trova, riflettendo il suo comportamento e accordandosi alla sua esperienza.

Ma prima di procedere, ti ricordo che “ricalcare” non significa “fare tutto ciò che la l’altro”.

Non è un caso che abbia scritto “adeguare alcune porzioni del proprio comportamento a quello dell’altra persona”.

Come sempre, la chiave è l’eleganza: se “esageri”, il tuo comportamento sarà innaturale, apparirà “strano” e il tuo interlocutore avrà la sensazione che tu “stia facendo qualcosa”.

E questo certamente non crea rapport. Anzi!

Un viaggio da “fuori” a “dentro”

Come creare una relazione di fiducia. un viaggio da fuori a dentro

Prima ancora di entrare nel dettaglio di “cosa e come andare in ricalco”, ci tengo molto a fare una precisazione.

Il ricalco non è una forma di “scimiottamento”, ma è una forma di grande rispetto (come evidenziato nell’articolo precedente) e, ancora di più, uno forma di connessione spirituale.

So che sembra un’affermazione forte e forse anche un po’ strana, ma quello che intendo dire è che il ricalco ti consente di fare un viaggio “da fuori a dentro”.

E cioè, di passare dall’osservazione del comportamento esterno di una persona, all’intuizione di ciò che sta accadendo dentro di lei.

Come è possibile? Semplice, dipende dal modo in cui siamo “costruiti” e in cui funzioniamo.

Saprai che mente e corpo sono legati da un legame indissolubile, anzi potremmo dire che, in un certo senso, sono la stessa cosa.

I neurologi dicono che la mente è il cervello in azione e, per essere ancora più precisi, potremmo dire che la mente è il cervello in azione in sinergia con tutto il resto del corpo.

Le conseguenze pratiche di tutto ciò sono che:

  • tutto ciò che succede nella mente si riflette, da qualche parte, nel corpo;
  • ma è anche vero che quello che “succede” nel corpo, si rilette, da qualche parte, nella mente.
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Un esempio
pratico

Pensa che Paul Eckman, nel corso dei suoi studi e delle sue ricerche, ha verificato che mimare la “faccia della paura”, piuttoso che la “faccia della rabbia”, solo per fare degli esempi, produce gli stessi cambiamenti fisiologici che si verificherebbero se la persona provasse davvero paura o rabbia.

Perciò, nel caso della paura, un’accelerazione del battito cardiaco e un abbassamento della temperatura corporea.

Nel caso della rabbia, un’accelerazione del battito cardiaco e un innalzamento della temperatura corporea.

Potremmo quindi dire che a ogni “schema fisiologico” (postura, mimica, tensione muscolare, frequenza della respirazione, etc.) corrisponde uno stato interno.

La logica conseguenza di tutto ciò è che più il tuo ricalco è preciso (cosa che non è sempre del tutto appropriato fare), più sarà precisa la tua intuizione e la tua lettura dello stato interno dell’altra persona.

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Una
dimostrazione
pratica

Esiste un esercizio che spesso si fa nei corsi di formazione.
L’esercizio viene fatto con 3 persone; “A”, “B”, e “C” e si svolge nel seguente modo:
  • “A” pensa a un momento della propria vita in cui ha vissuto un intenso stato positivo di qualsiasi natura;
  • “B” calibra “A” e poi le si mette di fianco, aggiusta la propria fisiologia in modo da ricalcare “A” quanto più possibile, chiude gli occhi e semplicemente aspetta e nota come si sente;
  • “C” aggiusta la fisiologia di “B” in modo che sia in totale ricalco di “A”;
  • ora, “B” rimane in ricalco di “A” fintanto che non abbia la percezione dello stato interno di “A”.
La magia è questa:
  • in un tempo tutto sommato breve, “B” riesce ad accedere allo stato emotivo di “A”, il che significa che “A” e “B” si connettono emotivamente;
  • spesso capita che “B” riesca addirittura a intuire la situazione o il contesto nel quale “A” si trova.
L’esercizio in sé è l’evidenza di come il ricalco possa facilitare la reciproca comprensione e quindi la comunicazione.
 
Dominare l’arte del ricalco ti darà la possibilità di stabilire rapport con chiunque tu voglia.
 
Andiamo ora a vedere più nello specifico quali comportamenti possiamo adeguare a quelli dell’altra persona, che tipo di “ricalco” possiamo fare.

Ricalco non verbale

Come creare una relazione di fiducia. Il ricalco non verbale

La forma più ovvia di ricalco è il ricalco non verbale o del linguaggio del corpo:

  • la postura;
  • la gestualità;
  • la mimica;
  • la respirazione;
  • la tensione muscolare.

Ovviamente, come già detto, ma preferisco ribadirlo, non si tratta di una forma di scimiottamento.

E non si tratta nemmeno di ricalcare tutto quello che fa l’altra persona.

Sarebbe semplicemente troppo, e quindi controproducente.

Si tratta, invece, di selezionare alcune parti del comportamento dell’altra persona e andare in ricalco solo di quelle, per poi magari abbandonarle, cambiare e andare in ricalco di altro.

Tieni le cose semplici e parti dalle cose più evidenti.

Ti faccio degli esempi pratici.

Immagina: tu sei seduto comodo, non proprio “stavaccato”, ma decisamente comodo.

Il tuo interlocutore invece è rigidamente seduto sulla “punta della sedia”, braccia e gambe accavallate.

Probabilemnte, nel giro di pochissimi istanti, finireste per sentirvi reciprocamente a disagio.

Perciò, dovrai adeguarti. Il che non significa che devi sedere anche tu rigido come uno stoccafisso, ma magare leggermente più composto.

Oppure, tu tendi a mantenere un continuo contatto visivo, a fissare gli occhi negli occhi, mentre la persona con la quale stai parlando, sfugge continuamente lo sguardo.

Non è che tu debba fare altrettanto, ma magari dovresti evitare di fissarlo incessantemente negli occhi, inseguendo il suo sguardo a tutti i costi.

O ancora, il tuo interlocutore è praticamente immobile e tu ti muovi in continuazione. Potrebbe distrarlo e innervosirlo, quindi, moderazione!

La postura del tuo interlocutore è aperta e la tua chiusa, tipo braccia e gambe incrociate. Potrebbe arrivargli un messaggio sbagliato.

Lui è seduto col busto in avanti, verso di te, e tu con il busto all’inditro, come se tu volessi allontanarti. Non è una buona idea! Avvicinati anche tu leggermente. E così via.

 

Come creare una relazione di fiducia. Il ricalco non verbale. La respirazione

La respirazione:
una delle forme
più potenti
di ricalco

Pensa che una delle forme di ricalco più potente è il ricalco della respirazione: la sua frequenza e la sua “profondità”.

Non so se ti è mai capitato di far addormentare un bambino piccolo. Su questo, con tre figli che ho fatto addormentare per un periodo di tempo significativo, posso dire di avere una lunga e specifica esperienza.

Ti racconto quello che succedeva.

Normalmente mi stendevo vicino a mio figlio, o a mia figlia,  o mi sedevo accanto, mano nella mano.

Iniziavo a ricalcare la sua respirazione, finché non si creava una naturale sintonia tra le frequenze dei nostri respiri.

Dopodiché rallentavo, e lui, o lei, a seconda dei casi, rallentava a sua volta e poi si addormentava.

Funziana, perché il ricalco e il rapport agiscono a livello inconscio.

A volte, quando, per un motivo o per l’altro, avevo fretta, non appena addormentato il bambino, tornavo a respirare a una frequenza normale (bada bene, ancor prima di spostare la mano).

Errore! Si svegliava! Ah, mi faceva diventare matta! Dopo tanto impegno, per un attimo di distrazione. La fretta non è mai una buona consigliera.

Ricalco paraverbale

Come creare una relazione di fiducia. Ricalco paraverbale

Il paraverbale ha a che fare con l’uso che facciamo della voce:

  • il volume;
  • il tono;
  • il tempo (la velocità del parlato);
  • il ritmo (l’alternanza tra il parlato e le pause);

Si tratta di una forma di ricalco davvero importantissima, per svariati motivi:

  • gli esseri umani sono generalmente  molto sensibili ai suoni, perché impattano direttamente il sistema nervoso;
  • i messaggi verbali vengono trasferiti attraverso la voce, che se usata in modo inappropriato, può creare delle interferenze, e a breve vedremo come.

Qui di seguito ti farò qualche esempio pratico.

Alcuni di questi esempi probabilmente li ho già fatti nell’articolo precedente, ma, dato che sono importanti, vale la pena riportarli nuovamente.

Come si dice, repetita iuvant 🙂

Perciò, immagina le situzioni seguenti, immedesimati, pensa a come ti sentiresti, e ti sarà immediatamente chiaro perché è così importante il ricalco paraverbale.

Il tono

Tu sei una persona vivace e con un tono di voce variabile. È un piacere sentirti parlare e ti trovi a conversare con un amico con un tono piatto e grigio.

Quanlunque cosa dica, anche quando parla delle avventure più eccitati, il suo tono di voce è lo stesso che avrebbe se stesse leggendo delle voci di bilancio.

Dopo poco, che noia!

Il volume

Due persone stanno conversando di un argomento delicato in un luogo pubblico. Uno dei due parla a voce bassissima, mentre l’altro ha un volume sostenuto.

Quanto tempo ci metterà, quello che parla a voce bassa, a sentirsi in imbarazzo?

Ora passiamo ad un’altra situazione: sei in ufficio e stai parlando con un collega. Il tuo volume è normale e adeguato, ma il tuo collega, un po’ timido e insicuro, sussurra e tu fatichi a sentire ciò che dice.

Probabilmente non ti ci vuole molto per spazientirti.

Il tempo e il ritmo

Immagina due persone che parlano a velocità diverse: una molto veloce e l’altra molto lenta.

Chi parla lentamente, pensa lentamente, e non perché sia stupido, ma magari perché processa le informazioni in modo molto analitico o in modo cinestesico, e cioè, attraverso le sensazioni (cosa che richiede pià tempo).

Chi parla molto veloce, ci mette un minuto a spazientirsi con chi parla molto lentamente, e viceversa.

Il ricalco verbale

Come creare una relazione di fiducia. Ricalco verbale

Le parole sono ancore

Le parole sono un elemento chiave della nostra esperienza mentale da diversi punti di vista.

Per il momento ci limitiamo a dire che le parole sono ancore, e cioè stimoli che richiamano ricordi, sensazioni, emozioni, stati d’animo.

E per ognuono di noi, chi più chi meno, esistono delle parole “speciali”, che risuonano in modo particolare, che hanno una sorta di “valore aggiunto”.

Ascolta le persone con attenzione. Noterai che qualcuno utilizza una o più parole in modo ricorrente e continuativo.

Cosa che fa pensare che quelle parole, per quella persona, per qualsivoglia motivo, siano delle parole “chiave”.

Ognuno attribuisce significati diversi

Ma che siano parole “chiave” o no, rimane il fatto che ognuno di noi, alla medesima parola, soprattutto quando si tratta di parole astratte, attribuisce significati diversi.

Usa le stesse parole

Perciò, quando interagisci con qualcuno usa le sue stesse parole, non cambiarle.

Per farti un esempio pratico, immagina di essere un consulente finanziario.

Un cliente viene da te e ti dice: «Vorrei fare una polizza pensionistica».

La risposta giusta non è: «Ah, vuole fare un fondo pensione», bensì: «Ah, vorrebbe fare una polizza pensionsitca».

Qualora tu volessi proprio andare in correzzione o specificare qualcosa (e non so se sia il caso o no in quest’esempio, perché è solo un esempio e non conosco la materia), solo successivamente potresti dire qualcosa come: «Mi aiuti a capire bene, quando parla di polizza pensionistica, intende un fondo pensione?»

Presta attenzione alle sequenze

Sei un commerciale in negozio che vende cucine.

Entra un cliente e dice: «Ho bisogno di una cucina nuova, la vorrei moderna e mi piacerebbe in acciaio»

Risposta giusta: «Vediamo se ho capito bene, ha bisogno di una cucina nuova, la vorrebbe moderna e le piacerebbe in acciao, giusto?»

Molto probabilmente la cliente non si renderà conto del tuo ricalco della sequenza di operatori modali, ma la sua reazione interna, che poi lo dica o no, sarà; «Ah, finalmente qualcuno che mi capisce!»

Ottimo inizio, cosa dici?

Il ricalco di valori, convinzioni, interessi

Come creare una relazione di fiducai. Ricalco di valori
Come creare una relazione di fiducia. Ricalco di convinzioni
Come creare una relazione di fiducia. Ricalco di interessi

Stiamo parlando, in questo caso, di forme di ricalco profondo e davvero estremamente efficace, se viene fatto bene; con intelligenza, sensibilità, eleganza e in modo etico.

Diversamente potrebbe essere controproducente, perché, soprattutto quando si entra nella sfera di valori e convinzioni, si entra in uno spazio sacro per la persona.

Quello che ti voglio dire, molto semplicemente, è che non devi “fare finta di…” dare valore a qualcosa che non ha valore per te, o di credere in qualcosa in cui non credi veramente, o di essere interessato a qualcosa che non ti interessa affatto.

Si tratta solamente di trovare “qualcosa in comune”, qualcosa davvero in comune.

Per esempio, se tu fossi “interista” e andassi a casa di un cliente “milanista”, non fare finta di essere milanista anche tu, ma utilizza la comune passione per il calcio.

Ti è mai capitato di partecipare a una cena dove non conosci nessuno?

Quello che normalmente succede in questo genere di situazione, è che inizialmente c’è un momento di imbarazzo.

Ti chiedi: «E ora di che cosa parlo con queste persone? Cosa posso dire?»

Poi, scopri che il tuo vicino ha la tua stessa passione per qualcosa. Qualsiasi cosa, il calcio, i figli, la politica, la moto, qualsiasi cosa. O magari scopri che avete vissuto entrambi nello stesso luogo all’estero per un periodo di tempo, o forse che conoscete le stesse persone. Insomma, che avete qualcosa in comune.

E in un istante, diventate i migliori amici di sempre, come se vi conosceste da una vita.

Riassumendo

Per riassumere quanto scritto da Richardson, potremmo dire che, quando a seguito del tuo ricalco, il tuo interlocutore comincia a ricalcare te in modo naturale, spontaneo e inconscio, ecco che allora sai di aver creato rapport e di poter andare in guida.

Hai la dimostrazione che si è verificata quella naturale sintonia, quella reciprocità, quella “danza insieme”, che è, appunto, la manifestazione concreta del rapport.

Qualora ciò non avvenisse, dovrai continuare a ricalcare prima di poter andare in guida.

 

Per concludere

Come creare una relazione di fiducia. Per concludere

Fino a questo momento abbiamo esplorato le forme più ovvie e più semplici di ricalco, ma ne esistono altre, come il ricalco dei Metaprogrammi e delle Strategie.

Di questo parleremo magari in articoli successivi, dopo aver parlato, appunto di Metaprogrammi e di Strategie.

Per il momento ti invito a sperimentare quanto abbiamo esplorato fino a questo momento e ti suggerisco di farlo, qualora tu non avessi già esperienza, nel corso in incontri e conversazioni “semplici”.

Per esempio, mentre chiacchieri del più e del meno durante un aperitivo con amici vecchi e nuovi.

È sempre buona norma evitare di allenare nuove abilità in contesti, o durante momenti impegnativi, come una negoziazione, una trattativa o una conversazione cruciale.

La creazione del rapport (relazione di fiducia) attraverso il ricalco, è uno “strumento” semplice, ma le cose semplici non sono necessariamente facili, e vanno trattate con la dovuta attenzione e cura.

Una volta creato rapport attraverso un elegante ricalco, è il momento di andare in guida, ma di questo ti parlerò in un prossimo articolo.

I risultati ti sorprenderanno 🙂

Crea una relazione di fiducia

Crea una relazione di fiducia

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Indice

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Non dare niente per scontato
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I presupposti per una relazione di fiducia
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Un fenomeno naturale
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La scienza che spiega l'isopraxismo
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Come creare una relazione di fiducia
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Ricalco o Pacing

Partiamo dal titolo: “Crea una relazione di fiducia”.

Viene subito da chiedersi: «Perché dovrei? Perché è importante?»

Beh, la risposta è molto semplice.

Una relazione di fiducia, che in PNL si chiama “Rapport”, è ciò che ti fa guadagnare il diritto di andare in guida.

E andare in guida è ciò che ognuno di noi vorrebbe fare quasi sempre nelle proprie relazioni con gli altri.

Ti faccio qualche esempio, che è nell’esperienza di tutti.

Ti sarà capitato di voler “convincere” qualcuno a fare qualcosa, tipo:

  • tuo figlio a fare i compiti;
  • la persona che ti piace a uscire con te;
  • un tuo collaboratore a fermarsi oltre l’orario;
  • il tuo capo a darti un aumento;
  • il responsabile delle risorse umane ad assumerti;
  • un amico a fare un viaggio insieme a te.

Oppure, forse ti sarà capitato di voler aiutare un amico, un figlio, un amante, un collega…, a “vedere oltre”:

Per esempio:

  • uno dei tuoi figli potrebbe avere delle convinzioni limitanti sulle proprie capacità scolastiche;
  • la tua più cara amica potrebbe non rendersi conto delle opportunità che sono presenti nella sua situazione attuale;
  • il tuo collega potrebbe non essere consapevole dei rischi insiti in un progetto che intende presentare al direttore generale.

Situazioni di questo tipo, richedono di dover “andare in guida”.

La maggior parte delle persone lo fa dando consigli, ma il modo più efficace per guidare gli altri è attraverso le domande.

E di questo parleremo approfonditamente in articoli successivi.

Ora che abbiamo chiarito cosa significa “andare in guida” o “guidare gli altri”, rimane ancora senza risposta la domanda «Perché è necessario avere una relazione di fiducia per poter andare in guida?»

La risposta è ovvia. Tu ti faresti guidare da una persona che non ti piace o della quale non ti fidi? Probabilmente no. E nemmeno gli altri!

Per riassumere: quando piaci alle persone, quando loro si sentono a proprio agio con te, quando si fidano di te, sono più propense a rispondere positivamente alla tua influenza.

Perciò ricorda:

Il rapport è ciò che ti fa guadagnare il diritto di andare in guida

Non dare niente per scontato

Crea una relazione di fiducia. Non dare niente per scontato

Quando conosciamo qualcuno molto bene, tendiamo a dare il “rapport” per scontato.

Ma ti faccio una domanda: sei sempre in rapport con i tuoi figli?

A meno che tu non sia un extraterrestre, la tua risposta, come la mia, è «No, assolutamente no!»

E quando non sei in rapport con loro, o meglio, quando loro non sono in rapport con te, sono disposti ad ascoltarti e a lasciarsi guidare?

Molto probabile che la tua risposta sia, di nuovo, «No!».

Perciò, anche con le persone più vicine, dobbiamo prestare attenzione. 

Nel momento in cui ti accorgi di non essere in quella buona relazione di fiducia con la persona cara, puoi solo fare una delle due cose seguenti:

  • attendere un momento migliore per esercitare la tua influenza;
  • fare qualcosa per creare rapport (di cosa poter fare, parleremo tra poco)

Pensa che a volte non siamo in rapport neppure con noi stessi.

A tal proposito, Jerry Richardson, nel suo bellissimo libro “Introduzione alla PNL”, che è in realtà un libro sul rapport, scrive:

«A votlte hai bisogno di influenzare, convincere, te stesso, prima di poter influenzare gli altri con successo.

Per essere efficaci al massimo con le altre persone, è importante avere un buon rapporto con sé stessi. In altre parole, devi avere rapport con te stesso.

Si potrebbe obiettare, come fanno spesso i poeti, che essere in rapport con noi stessi è il nostro stato naturale e che, crescendo e invecchiando, perdiamo questo contatto.

Diventiamo più auto-coscienti, e l’autocoscienza porta con sé l’autocritica.

E l’autocritica negativa, che si tratti di parlare, immaginare o provare delle emozioni tra sé e sé, è nociva allo sperimentare e all’esercitare il potere personale.

Forse questo è un altro esempio di innocenza perduta e di paradiso perduto»

(Jerry Richardon, Introduzione alla PNL)

I presupposti per una relazione di fiducia

Crea una relazione di fiducia. Come creare una relazione di fiducia

Bene, ora che abbiamo capito quanto è importante creare una relazione di fiducia e di reciproco benessere prima di poter influenzare qualcuno, quello che rimane da chiedersi è: “come?”.

Come puoi creare una buona relazione, anche quando ciò non accade spontaneamente?

Quello che ti voglio dire è che, come ben sai, a volte capita di incontrare una persona e di sentirti subito a tuo agio, di fidarti in modo istintivo.

Altre volte succede l’opposto; incontri una persona e provi immediatamente una sensazione di sfiducia e/o di disagio.

Ma rimane il fatto che:

  • potresti anche sbagliarti! Il nostro istinto non è sempre infallibile. A volte potremmo essere semplicemente di cattivo umore, e interpretare tutto ciò che accade attraverso quelle lenti;
  • la persona che istintivamente non ti piace, potrebbe essere, potenzialmente, il tuo miglior cliente.

Quindi la domanda rimane, e potrebbe valere la pena trovare una risposta.

Per rispondere a questa domanda, partiamo da una premessa e arriviamoci insieme per gradi; pensaci. Che cos’hanno in comune i tuoi amici?

Probabilmente, ognuno di loro ha qualcosa in comune con te; potrebbero essere gli stessi valori, la medesima visione della vita, gli stessi modi di fare o anche solo gli stessi interessi.

Tutte le volte che una relazione si crea in modo fluido e spontaneo, c’è sempre una sorta di reciproco riconoscimento.

La magia del “tu sei come me”.

Dato che io mi fido di me stesso/a, nella misura in cui tu sei uguale a me, tendo a fidarmi di te.

Un fenomeno naturale

Crea una relazione di fiducia. Un fenomeno naturale

Tutto ciò, in realtà, non è che la manifestazione di un ben noto fenomeno che si chiama “isopraxismo”.

“Isopraxismo” è una parola che deriva dal greco:

  • “iso” significa “uguale”
  • “parxis” significa “comportamento”.

Ciò vuol dire che, quando le persone sono in una buona relazione, i loro comportamenti tendono naturalmente ad adeguarsi gli uni agli altri.

Si tratta di un fenomeno talmente conosciuto, che ne parla addirittura un articolo di Forbes, chiamandolo “sincronia limbica”.

L’autore dell’articolo, lo descrive così:

«Mio marito e suo padre stavano parlando in cucina, quando sono entrata nella stanza.

Ricorderò sempre quella vista: erano seduti al tavolo, immagini speculari l’uno dell’altro.

Entrambi gli uomini erano appoggiati all’indietro con le mani dietro la testa e i gomiti divaricati, ed entrambi avevano le gambe leggermente incrociate.

Erano profondamente assorbiti dalla conversazione, del tutto ignari delle posizioni fisiche che avevano assunto.

Non ho dovuto ascoltare quello che stavano dicendo per rendermi conto che (in quel momento) padre e figlio erano in totale relazione!»

Tutto ciò significa che, quando la relazione è buona, si entra spontaneamente in una naturale sincronia, una sorta di “danza”.

Hai mai visto due persone innamorate sedute al tavolo al ristorante?

Lei si sposta in avanti, lui si sposta in avanti; lei prende il bicchiere, lui prende il bicchiere; lui sorride, lei sorride; lui abbassa la voce, lei abbassa la voce.

Si tratta, insomma, di un fenomeno del tutto naturale, tanto è vero che il suddetto articolo di Forbes dice:

«Lo facciamo tutti. Si chiama sincronia limbica ed è cablata nel cervello umano.

I bambini lo fanno anche prima della nascita; i loro battiti cardiaci e le funzioni corporee assumono un ritmo che corrisponde a quello delle loro madri.

Da adulti, lo facciamo quando parliamo con qualcuno che ci piace, a cui siamo interessati o con cui siamo d’accordo.

Inconsciamente cambiamo la postura del nostro corpo in modo che corrisponda a quella dell’altra persona, rispecchiando il comportamento non verbale di quella persona e segnalando che siamo connessi e coinvolti».

La scienza che spiega l’isopraxismo

Crea una relazione di fiducia. La scienza che spiega l'isopraxismo

Alla base di questo fenomeno, di questo reciproco riconoscimento, vi sono dei neuroni detti “neuroni specchio”.

I neuroni specchio furono scoperti da un gruppo di ricercatori presso l’Università di Parma. Ricercatori coordinati da Giacomo Rizzolatti.

Lascio spiegare che cosa sono i neuroni specchio, a chi è sicuramente più competente di me in materia, e ti riporto qui di seguito le parole pubblicate sul sito dell’Ospedale Niguarda di Milano:

«Quasi 20 anni fa, studiando il comportamento di alcune scimmie, un team di ricercatori italiani scoprì un particolare tipo di neuroni che definirono “neuroni specchio”.

Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno ipotizzato l’esistenza di neuroni specchio anche negli uomini.

Sembrerebbe che questi meccanismi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio. 

Per comprendere i comportamenti

I neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri.


Quando osserviamo un nostro simile compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.


In pratica, grazie alla presenza di questi neuroni particolari, possiamo imparare osservando, e capire le intenzioni di chi ci sta davanti solo con un colpo d’occhio.

“Riflettono” anche le emozioni

Anche il riconoscimento delle emozioni sembra poggiare su questi meccanismi che, per quanto differenti, condividono quella proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni.


E’ stato possibile studiare sperimentalmente alcune emozioni primarie: i risultati mostrano che quando osserviamo negli altri una manifestazione di tristezza (o di un altro sentimento) si attivano per un meccanismo empatico circuiti neurali simili a quelli che modulano le espressioni delle emozioni.

Un’altra conferma viene da studi clinici su pazienti affetti da patologie neurologiche, che causano un impedimento a provare un particolare tipo di emozione.

Ebbene, queste persone non riconoscono quel tipo di emozionene anche quando viene espressa dagli altri».

Come creare una relazione di fiducia

Crea una relazione di fiducia. Come creare una relazione di fiducia

Questa è la parte più interessante dal punto di vista pratico, e cioè dal punto di vista dell’utilità nella vita di tutti i giorni.

La risposta alla domanda «Come?».

«Bene, visto che è cosi importante creare una relazione di fiducia per poter andare in guida, come posso crearla, qualora ciò non avvenisse spontaneamente?»

Di nuovo, arriviamoci insieme ricapitolando qualche punto fondamentale:

  • quando qualcuno si riconosce in te, quando ti guarda e pensa, o sente che «tu sei come me», tende a fidarsi e ad apprezzarti;
  • perciò, possiamo dire che una buona relazione si instaura spontaneamente quando le persone hanno qualcosa in comune;
  • se le persone sono in una buona relazione, i comportamenti dell’uno e dell’altro tendono ad adeguarsi e a rispecchiarsi reciprocamente, e ciò avviene in modo naturale e inconscio.

A questo punto, siamo pronti a trarre la prossima conclusione: quando ti relazioni con un’altra persona puoi fare una delle seguenti cose. Puoi:

  • “essere te stesso”
  • sottolineare le differenze
  • sottolineare le “cose simili”

Andiamo ora a esplorare questi tre possibili comportamenti uno dopo l’altro.

 

Puoi “essere te stesso”

Crea una relazione di fiducia. Come creare una relazione di fiducia. Puoi essere te stesso

Essere te stesso
non significa
essere inflessibile

Puoi semplicemente “essere te stesso”, e fare quello che ti viene spontaneo fare, indipendentemente da ciò che fa l’altro.

Per esempio, immagina di essere una persona che parla molto velocemente e di relazionarti con qualcuno che invece parla molto, molto lentamente.

Tu vuoi “essere te stesso” e quindi, ignorando il fatto che l’altro parli lentamente, continui imperterrito per la tua strada.

In un caso come questo, pensi che il tuo interlocutore sia in grado o abbia la voglia di seguirti?

Probabilmente no, perché chi parla lentamente tende a pensare lentamente. E non perché sia stupido. Anzi!

Magari perché elabora informazioni di dettaglio o magari perché processa le informazioni in modo “cinestesico”, e cioè attraverso le sensazioni. Processare le informazioni in modo cinestesico (ne parleremo), richiede più tempo rispetto a chi, per esempio, processa in modo “visivo”.

Perciò, se tu volessi davvero comunicare con questa persona, dovresti rallentare, così che riesca a seguirti facilmente.

Facciamo un altro esempio, e immagina come ti sentiresti in una situazione come quella che vado a descriverti.

Per il nostro esempio, diciamo che tu sei una persona diretta, “friendly”, informale, che si relaziona con gli altri in modo emotivo.

Incontri una persona, magari un professionista, tipo medico o avvocato, che è il tuo esatto opposto: formale, rigido, poco contatto visivo, niente sorriso, nessuna emozione, sempre e solo nel “ruolo”.

Quanto tempo ci metti a sentirti a disagio? O il “professionista” fa qualcosa per “venirti incontro”, o rischia di non riuscire a creare un vero “contatto” con te.

Puoi sottolineare le differenze

Crea una relazione di fiducia. Come creare una relazione di fiducia. Puoi sottolineare le differenze

È paradossale
ma a volte
succede

 

Hai presente quelle persone che apparentemente si sentono molto “fighe”, ma che probabilmente internamente sono molto insicure (altrimenti non avrebbero motivo di comportarsi così), e che ti guardano dall’alto in basso, come a dire: «Io sono un fenomeno e tu sei un poveretto?»

Ecco, queste persone sicuramente non creano rapport. Anzi, potremmo dire che sono davvero dei fenomeni a creare l’anti-rapport.

Non creano riconoscimento reciproco, non creano fiducia, non creano simpatia, non esprimono carisma.

Tutto quello che esprimono è paura, insicurezza, antipatia.

Pessima strategia che proprio non funziona da nessun punto di vista.

Puoi sottolineare le “cose simili”

Crea una relazione di fiducia. Come creare una relazione di fiducia. Sottolinea le cose simili

In questo modo
crei Rapport

Sottolineare le “cose simili”, signifca “fare qualcosa per adeguare il proprio comportamento al comportamento dell’altra persona.

Una prima reazione molto frequente:

«Ahhhhh! Orrore! Ma siamo matti? Allora non posso essere me stesso? Dovrei “fingere?” Dovrei comportarmi in modo innaturale? Ma questa è manipolazione!»

No, non si chiama manipolazione. A casa mia, si chiama rispetto!

Non si tratta di essere o non essere sé stessi, non si tratta di cambiare quello che sei, si tratta solo di cambiare quello che fai.

È molto diverso!

Crei flessibilità nel tuo comportamento così da “parlare la stessa lingua” del tuo interlocutore, comunicare in modo più fluido ed efficace, così da creare rapport.

In quest’ultimo caso fai la cosa giusta!

Torniamo all’esempio di prima: una persona che parla lentamente e una che parla velocemente.

Faranno fatica! Uno dei due dovrà fare qualcosa!

Chi parla velocemente potrebbe rallentare, così che l’altro possa avere il tempo e lo spazio mentale da poter seguire.

Oppure, chi parla lentamente, potrebbe accelerare, così che l’altro non muoia di noia e perda l’attenzione in una manciata di minuti.

Nella vita reale, la maggior parte delle volte, le persone non prestano attenzione conscia a queste cose, e quindi non “fanno” nulla di proposito.

Si limitano a “essere sé stessi”, a continuare a fare ciò che hanno sempre fatto.

Certo, probabile che si sentano infastiditi uno dall’altro, ma magari non sanno bene perché.

Ma una persona informata, formata e consapevole, agirà nel modo giusto.

Farà qualcosa per adeguare alcune porzioni del proprio comportamento al comportamento dell’altra persona, così da creare rapport e una comunicazione più efficace.

Ricalco o Pacing

Crea una relazione di fiducia. Ricalco o Pacing

L’azione di adeguare elegantemente alcune porzioni del proprio comportamento a quello del proprio interlocutore, in PNL, si chiama “ricalco”.

Sono d’accordo, non è un nome bellissimo, ma rende l’idea: ricalcare con il proprio comportamento quello dell’altro.

In inglese, il ricalco ha un nome molto più elegante; si chiama “pacing”, che significa “camminare allo stesso passo”.

Perché quando si cammina allo stesso passo, si respira alla stessa frequenza, e si entra così in una naturale sintonia.

Inoltre, “pacing” rende molto meglio di “ricalco” il significato più profondo di ciò che queste parole dovrebbero esprimere: l’intenzione con la quale vai in ricalco per creare rapport.

L’importanza dell’intenzione

L’intenzione deve essere sempre eitca; “win-win”, e cioè “vinciamo entrambi”

Quello che voglio dire è che si tratta di strumenti semplici, ma di comprovata efficacia.

Stumenti potenti che vanno usanti in modo, appunto, etico, o, come diciamo in PNL, “ecologico”.

Veniamo quindi al dunque! Come andare in ricalco?

La prima cosa importante da dire è che ricalcare il comportamento non significa che devi fare “tutto” quello che fa l’altra persona.

Rispecchiare o riflettere tutto ciò che fa l’altro non crea certo rapport. Anzi, crea proprio l’effetto opposto.

La chiave è l’eleganza.

Si tratta di selezionare con attenzione alcuni comportamenti dell’altra persona e “restituirli”, così da creare quella “somiglianza”, quel magico “tu sei come me” e quindi mi fido di te.

Un buon comunicatore è una sorta di “meccanismo di bio-feedback”, nel senso che restituitsce ciò che arriva. Per esempio:

  • tu sei seduto in modo comodo e informale, io mi siedo in modo comodo e informale;
  • parli con un volume molto più basso del mio, abbasso il mio volume di voce;
  • gesticoli molto meno di me, cerco di gesticolare meno, e così via.

Si tratta di fare qualcosa per entrare nel mondo dell’altra persona.

In un prossimo articolo, entreremo nei dettagli del ricalco in tutte le sue forme e dimensioni: ricalco verbale, non verbale, paraverbale e non solo.

Per il momento ti lascio con una bellissima definizione di ricalco che dobbiamo sempre a Jerry Richardson.

Ricalco

Andare incontro alla persona nel punto in cui si trova, riflettendo il suo comportamento e accordandosi alla sua esperienza.

I presupposti per una buona relazione

I presupposti per una buona relazione

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Indice

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I presupposti per una buona relazione secondo i miei gatti
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I presupposti per una buona relazione: presta attenzione
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Attenzione negativa
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Mancanza di attenzione
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Attenzione positiva
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Il primo passo

In un articolo precedente, abbiamo parlato di quanto sia importante creare e nutrire delle buone relazioni con gli altri e nell’articolo “L’effetto Roseto” abbiamo anche visto quanto sia importante per la nostra vita, i nostri risultati, il nostro benessere e la nostra salute.

Ma quali sono i presupposti indispensabili per poter creare una buona relazione?

I presupposti per una buona relazione secondo i miei gatti

I presupposti per una buona relazione secondo i miei gatti: Cholita
Cholita
I presupposti per una buona relazione secondo i miei gatti: Forrest
Forrest
I presupposti per una buona relazione secondo i miei gatti: Pablo
Pablo

A questo proposito, i miei tre gatti, Cholita, Forrest e Pablo, mi hanno insegnato un’importante lezione.

La lezione dei miei gatti

Se non presti loro attenzione, loro non ti prestano attenzione, se non ti connetti a loro, loro non si connettono a te, se non dai non ricevi.

Lo sappiamo tutti, ma siamo distratti. Siamo distratti dagli impegni, dalle mille cose da fare, dalla fretta di voler raggiungere i nostri risultati.

Osserva, per esempio, cosa succede sui social network: tutti scrivono e pochi partecipano a ciò che scrivono gli altri, tutti vogliono essere “visti”, ma non “vedono”, tutti parlano ma pochi ascoltano.

In questo modo non si crea certo relazione, i miei tre gatti dicono che non è un buon modo di fare le cose!

I presupposti per una buona relazione: presta attenzione

I presupposti per una buona relazione: presta attenzione

Quindi la prima “regola” è: presta attenzione, presta attenzione alle persone con interesse sincero e fallo nel modo corretto, trasmettendo i giusti segnali.

Ogni volta che incontri qualcuno, puoi fare una delle seguenti tre cose:

  • prestare attenzione alla persona, dandole dei segnali negativi (attenzione negativa)
  • non prestare nessuna attenzione alla persona (mancanza di attenzione)
  • prestare attenzione alla persona, dandole dei segnali positivi (attenzione positiva)

Attenzione negativa

I presupposti per una buona relazione: attenzione negativa

Esistono persone che, soprattutto quando sono sotto stress, fanno cose che “fanno sentire male” gli altri: attaccano, rimproverano, giudicano, biasimano, disapprovano. 

La loro strategia, spesso inconscia, è quella di scaricare la propria responsabilità e far sentire l’altro “in colpa” per poterlo controllare meglio.

Non serve neppure dire che “non funziona”: tutti noi amiamo stare con persone che “ci fanno sentire bene”. Tutti noi amiamo sentirci a nostro agio, ascoltati, rispettati.

Tanto tempo fa, un mio vecchio maestro mi ha dato una lezione che non ho mai dimenticato.

L’insegnamento del mio maestro

«Ricorda, sentimenti feriti, comunicazione interrotta».

Mancanza di attenzione

I presupposti per una buona relazione: mancanza di attenzione

Non so se ti sia mai capitato, ma immagina le situazioni seguenti: 

  • stai conversando con un gruppo di persone, e mentre stai per intervenire nel discorso dicendo qualcosa, la persona alla quale ti stai rivolgendo si gira dall’altra parte, o verso qualcun altro, e ti parlano sopra;
  • oppure qualcuno ti fa una domanda e non ascolta la risposta;
  • o magari entri in un’ambiente e nessuno ti guarda o ti saluta, quasi fossi invisibile! 

Situazioni di questo tipo, purtroppo, sono più frequenti di quanto si possa immaginare, e anche in questo caso i miei gatti dicono «no buono». 

Certe persone sembra che nemmeno ti vedano, si comportano come se tu non ci fossi. 

Esistono delle situazioni tipiche:

  • l’automobilista che paga il pedaggio al casello come se lo pagasse al Telepass e non a una persona;
  • colui che chiama il cameriere con un cenno della mano e ordina senza guardarlo, senza dire ne grazie ne prego;
  • il capo che entra in ufficio e non si degna di salutare i “sottoposti”.

Anni fa, quando il Telepass non esisteva ancora, mi sono fermata al casello per pagare il pedaggio.

Ho guardato negli occhi il casellante, ho sorriso e gli ho semplicemente detto «Buongiorno».

Il giovane uomo è letteralmente trasalito, ha sorriso e mi ha detto: «Oggi sono passate da qui migliaia di persone e lei è stata la prima a rivolgermi la parola».

A volte basta così poco per diffondere la gentilezza e far stare bene le persone

Attenzione positiva

I presupposti per una buona relazione: attenzione positva

Tutti noi abbiamo il bisogno profondo di essere “visti”, di essere “riconosciuti”, perché, se tu non mi vedi neppure, allora significa che non esisto.

E affinché una persona si senta vista e riconosciuta, dobbiamo prestarle attenzione trasmettendo messaggi positivi. 

Trasmettere messaggi positivi non significa necessariamente dire cose “carine” (anche se non fa mai male), ma semplicemente trasferire all’altro quel messaggio: «ti vedo».

Gli americani dicono «I see you» (ti vedo) proprio per dire «esisti, sei importante, conti, vali».

Quindi, il primo passo consiste proprio nel trasferire questo messaggio, anche a livello non verbale, e per farlo a volte basta davvero poco: contatto visivo, un sorriso, una parola.

Prendiamo come esempio il capo di cui sopra, quello che entra in ufficio, magari è di fretta, e non saluta nessuno. Pensaci, per quanta fretta tu possa avere basta un secondo: ti fermi, guardi le persone con intenzione e non in modo distratto, sorridi e dici «Buongiorno a tutti».

Ricorda che:

Le persone dimenticano quello che fai, magari anche quello che dici, ma ricordano sempre come le fai sentire

Il primo passo

I presupposti per una buona relazione: il primo passo

Tutto parte sempre dalla consapevolezza, quindi, il primo passo da fare è quello di prestare attenzione a come presti attenzione alle persone. 

E per cominciare a prestare attenzione a come presti attenzione, ti propongo qualche domanda, a titolo solo esemplificativo:

  • Come ti comporti quando entri in un ambiente dove ci sono altre persone?
  • Quando qualcuno ti parla, lo ascolti davvero o entri nella tua testa e pensi ai fatti tuoi?
  • Quanto tempo ci metti a rispondere alle comunicazioni delle persone, che siano telefonate perse, messaggi o email?
  • Quanto partecipi alle vicende altrui? Quando un tuo amico ha un problema, lo chiami per sapere come stanno andando le cose o te ne dimentichi?
  • Quanto spesso chiami i tuoi amici e conoscenti anche solo per fare un saluto e sapere come va?
  • Quanto rendi gli altri partecipi della tua vita, delle tue vicende, dei tuoi stati d’animo ed emozioni?
  • Quanti momenti di condivisione vivi con gli altri nella tua vita privata e sul lavoro?
  • Quanto spesso dai sinceri riconoscimenti agli altri, magari per un lavoro svolto bene o per un risultato ottenuto?

L’idea generale

L’idea generale è nota e bistrattata: comportati con gli altri come vorresti che gli altri si comportassero con te.