Indice
Non dare niente per scontato
I presupposti per una relazione di fiducia
Un fenomeno naturale
La scienza che spiega l'isopraxismo
Come creare una relazione di fiducia
Ricalco o Pacing
Partiamo dal titolo: “Crea una relazione di fiducia”.
Viene subito da chiedersi: «Perché dovrei? Perché è importante?»
Beh, la risposta è molto semplice.
Una relazione di fiducia, che in PNL si chiama “Rapport”, è ciò che ti fa guadagnare il diritto di andare in guida.
E andare in guida è ciò che ognuno di noi vorrebbe fare quasi sempre nelle proprie relazioni con gli altri.
Ti faccio qualche esempio, che è nell’esperienza di tutti.
Ti sarà capitato di voler “convincere” qualcuno a fare qualcosa, tipo:
- tuo figlio a fare i compiti;
- la persona che ti piace a uscire con te;
- un tuo collaboratore a fermarsi oltre l’orario;
- il tuo capo a darti un aumento;
- il responsabile delle risorse umane ad assumerti;
- un amico a fare un viaggio insieme a te.
Oppure, forse ti sarà capitato di voler aiutare un amico, un figlio, un amante, un collega…, a “vedere oltre”:
Per esempio:
- uno dei tuoi figli potrebbe avere delle convinzioni limitanti sulle proprie capacità scolastiche;
- la tua più cara amica potrebbe non rendersi conto delle opportunità che sono presenti nella sua situazione attuale;
- il tuo collega potrebbe non essere consapevole dei rischi insiti in un progetto che intende presentare al direttore generale.
Situazioni di questo tipo, richedono di dover “andare in guida”.
La maggior parte delle persone lo fa dando consigli, ma il modo più efficace per guidare gli altri è attraverso le domande.
E di questo parleremo approfonditamente in articoli successivi.
Ora che abbiamo chiarito cosa significa “andare in guida” o “guidare gli altri”, rimane ancora senza risposta la domanda «Perché è necessario avere una relazione di fiducia per poter andare in guida?»
La risposta è ovvia. Tu ti faresti guidare da una persona che non ti piace o della quale non ti fidi? Probabilmente no. E nemmeno gli altri!
Per riassumere: quando piaci alle persone, quando loro si sentono a proprio agio con te, quando si fidano di te, sono più propense a rispondere positivamente alla tua influenza.
Perciò ricorda:
Il rapport è ciò che ti fa guadagnare il diritto di andare in guida
Non dare niente per scontato
Quando conosciamo qualcuno molto bene, tendiamo a dare il “rapport” per scontato.
Ma ti faccio una domanda: sei sempre in rapport con i tuoi figli?
A meno che tu non sia un extraterrestre, la tua risposta, come la mia, è «No, assolutamente no!»
E quando non sei in rapport con loro, o meglio, quando loro non sono in rapport con te, sono disposti ad ascoltarti e a lasciarsi guidare?
Molto probabile che la tua risposta sia, di nuovo, «No!».
Perciò, anche con le persone più vicine, dobbiamo prestare attenzione.
Nel momento in cui ti accorgi di non essere in quella buona relazione di fiducia con la persona cara, puoi solo fare una delle due cose seguenti:
- attendere un momento migliore per esercitare la tua influenza;
- fare qualcosa per creare rapport (di cosa poter fare, parleremo tra poco)
Pensa che a volte non siamo in rapport neppure con noi stessi.
A tal proposito, Jerry Richardson, nel suo bellissimo libro “Introduzione alla PNL”, che è in realtà un libro sul rapport, scrive:
Per essere efficaci al massimo con le altre persone, è importante avere un buon rapporto con sé stessi. In altre parole, devi avere rapport con te stesso.
Si potrebbe obiettare, come fanno spesso i poeti, che essere in rapport con noi stessi è il nostro stato naturale e che, crescendo e invecchiando, perdiamo questo contatto.
Diventiamo più auto-coscienti, e l’autocoscienza porta con sé l’autocritica.
E l’autocritica negativa, che si tratti di parlare, immaginare o provare delle emozioni tra sé e sé, è nociva allo sperimentare e all’esercitare il potere personale.
Forse questo è un altro esempio di innocenza perduta e di paradiso perduto»
I presupposti per una relazione di fiducia
Bene, ora che abbiamo capito quanto è importante creare una relazione di fiducia e di reciproco benessere prima di poter influenzare qualcuno, quello che rimane da chiedersi è: “come?”.
Come puoi creare una buona relazione, anche quando ciò non accade spontaneamente?
Quello che ti voglio dire è che, come ben sai, a volte capita di incontrare una persona e di sentirti subito a tuo agio, di fidarti in modo istintivo.
Altre volte succede l’opposto; incontri una persona e provi immediatamente una sensazione di sfiducia e/o di disagio.
Ma rimane il fatto che:
- potresti anche sbagliarti! Il nostro istinto non è sempre infallibile. A volte potremmo essere semplicemente di cattivo umore, e interpretare tutto ciò che accade attraverso quelle lenti;
- la persona che istintivamente non ti piace, potrebbe essere, potenzialmente, il tuo miglior cliente.
Quindi la domanda rimane, e potrebbe valere la pena trovare una risposta.
Per rispondere a questa domanda, partiamo da una premessa e arriviamoci insieme per gradi; pensaci. Che cos’hanno in comune i tuoi amici?
Probabilmente, ognuno di loro ha qualcosa in comune con te; potrebbero essere gli stessi valori, la medesima visione della vita, gli stessi modi di fare o anche solo gli stessi interessi.
Tutte le volte che una relazione si crea in modo fluido e spontaneo, c’è sempre una sorta di reciproco riconoscimento.
La magia del “tu sei come me”.
Dato che io mi fido di me stesso/a, nella misura in cui tu sei uguale a me, tendo a fidarmi di te.
Un fenomeno naturale
Tutto ciò, in realtà, non è che la manifestazione di un ben noto fenomeno che si chiama “isopraxismo”.
“Isopraxismo” è una parola che deriva dal greco:
- “iso” significa “uguale”
- “parxis” significa “comportamento”.
Ciò vuol dire che, quando le persone sono in una buona relazione, i loro comportamenti tendono naturalmente ad adeguarsi gli uni agli altri.
Si tratta di un fenomeno talmente conosciuto, che ne parla addirittura un articolo di Forbes, chiamandolo “sincronia limbica”.
L’autore dell’articolo, lo descrive così:
«Mio marito e suo padre stavano parlando in cucina, quando sono entrata nella stanza.
Ricorderò sempre quella vista: erano seduti al tavolo, immagini speculari l’uno dell’altro.
Entrambi gli uomini erano appoggiati all’indietro con le mani dietro la testa e i gomiti divaricati, ed entrambi avevano le gambe leggermente incrociate.
Erano profondamente assorbiti dalla conversazione, del tutto ignari delle posizioni fisiche che avevano assunto.
Non ho dovuto ascoltare quello che stavano dicendo per rendermi conto che (in quel momento) padre e figlio erano in totale relazione!»
Tutto ciò significa che, quando la relazione è buona, si entra spontaneamente in una naturale sincronia, una sorta di “danza”.
Hai mai visto due persone innamorate sedute al tavolo al ristorante?
Lei si sposta in avanti, lui si sposta in avanti; lei prende il bicchiere, lui prende il bicchiere; lui sorride, lei sorride; lui abbassa la voce, lei abbassa la voce.
Si tratta, insomma, di un fenomeno del tutto naturale, tanto è vero che il suddetto articolo di Forbes dice:
«Lo facciamo tutti. Si chiama sincronia limbica ed è cablata nel cervello umano.
I bambini lo fanno anche prima della nascita; i loro battiti cardiaci e le funzioni corporee assumono un ritmo che corrisponde a quello delle loro madri.
Da adulti, lo facciamo quando parliamo con qualcuno che ci piace, a cui siamo interessati o con cui siamo d’accordo.
Inconsciamente cambiamo la postura del nostro corpo in modo che corrisponda a quella dell’altra persona, rispecchiando il comportamento non verbale di quella persona e segnalando che siamo connessi e coinvolti».
La scienza che spiega l’isopraxismo
Alla base di questo fenomeno, di questo reciproco riconoscimento, vi sono dei neuroni detti “neuroni specchio”.
I neuroni specchio furono scoperti da un gruppo di ricercatori presso l’Università di Parma. Ricercatori coordinati da Giacomo Rizzolatti.
Lascio spiegare che cosa sono i neuroni specchio, a chi è sicuramente più competente di me in materia, e ti riporto qui di seguito le parole pubblicate sul sito dell’Ospedale Niguarda di Milano:
«Quasi 20 anni fa, studiando il comportamento di alcune scimmie, un team di ricercatori italiani scoprì un particolare tipo di neuroni che definirono “neuroni specchio”.
Studi successivi, effettuati con tecniche non invasive, hanno ipotizzato l’esistenza di neuroni specchio anche negli uomini.
Sembrerebbe che questi meccanismi interessino diverse aree cerebrali, comprese quelle del linguaggio.
Per comprendere i comportamenti
I neuroni specchio permettono di spiegare fisiologicamente la nostra capacità di porci in relazione con gli altri.
Quando osserviamo un nostro simile compiere un particolare gesto si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a compiere quella stessa azione.
In pratica, grazie alla presenza di questi neuroni particolari, possiamo imparare osservando, e capire le intenzioni di chi ci sta davanti solo con un colpo d’occhio.
“Riflettono” anche le emozioni
Anche il riconoscimento delle emozioni sembra poggiare su questi meccanismi che, per quanto differenti, condividono quella proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni.
E’ stato possibile studiare sperimentalmente alcune emozioni primarie: i risultati mostrano che quando osserviamo negli altri una manifestazione di tristezza (o di un altro sentimento) si attivano per un meccanismo empatico circuiti neurali simili a quelli che modulano le espressioni delle emozioni.
Un’altra conferma viene da studi clinici su pazienti affetti da patologie neurologiche, che causano un impedimento a provare un particolare tipo di emozione.
Ebbene, queste persone non riconoscono quel tipo di emozionene anche quando viene espressa dagli altri».
Come creare una relazione di fiducia
Questa è la parte più interessante dal punto di vista pratico, e cioè dal punto di vista dell’utilità nella vita di tutti i giorni.
La risposta alla domanda «Come?».
«Bene, visto che è cosi importante creare una relazione di fiducia per poter andare in guida, come posso crearla, qualora ciò non avvenisse spontaneamente?»
Di nuovo, arriviamoci insieme ricapitolando qualche punto fondamentale:
- quando qualcuno si riconosce in te, quando ti guarda e pensa, o sente che «tu sei come me», tende a fidarsi e ad apprezzarti;
- perciò, possiamo dire che una buona relazione si instaura spontaneamente quando le persone hanno qualcosa in comune;
- se le persone sono in una buona relazione, i comportamenti dell’uno e dell’altro tendono ad adeguarsi e a rispecchiarsi reciprocamente, e ciò avviene in modo naturale e inconscio.
A questo punto, siamo pronti a trarre la prossima conclusione: quando ti relazioni con un’altra persona puoi fare una delle seguenti cose. Puoi:
- “essere te stesso”
- sottolineare le differenze
- sottolineare le “cose simili”
Andiamo ora a esplorare questi tre possibili comportamenti uno dopo l’altro.
Puoi “essere te stesso”
Essere te stesso
non significa
essere inflessibile
Puoi semplicemente “essere te stesso”, e fare quello che ti viene spontaneo fare, indipendentemente da ciò che fa l’altro.
Per esempio, immagina di essere una persona che parla molto velocemente e di relazionarti con qualcuno che invece parla molto, molto lentamente.
Tu vuoi “essere te stesso” e quindi, ignorando il fatto che l’altro parli lentamente, continui imperterrito per la tua strada.
In un caso come questo, pensi che il tuo interlocutore sia in grado o abbia la voglia di seguirti?
Probabilmente no, perché chi parla lentamente tende a pensare lentamente. E non perché sia stupido. Anzi!
Magari perché elabora informazioni di dettaglio o magari perché processa le informazioni in modo “cinestesico”, e cioè attraverso le sensazioni. Processare le informazioni in modo cinestesico (ne parleremo), richiede più tempo rispetto a chi, per esempio, processa in modo “visivo”.
Perciò, se tu volessi davvero comunicare con questa persona, dovresti rallentare, così che riesca a seguirti facilmente.
Facciamo un altro esempio, e immagina come ti sentiresti in una situazione come quella che vado a descriverti.
Per il nostro esempio, diciamo che tu sei una persona diretta, “friendly”, informale, che si relaziona con gli altri in modo emotivo.
Incontri una persona, magari un professionista, tipo medico o avvocato, che è il tuo esatto opposto: formale, rigido, poco contatto visivo, niente sorriso, nessuna emozione, sempre e solo nel “ruolo”.
Quanto tempo ci metti a sentirti a disagio? O il “professionista” fa qualcosa per “venirti incontro”, o rischia di non riuscire a creare un vero “contatto” con te.
Puoi sottolineare le differenze
È paradossale
ma a volte
succede
Hai presente quelle persone che apparentemente si sentono molto “fighe”, ma che probabilmente internamente sono molto insicure (altrimenti non avrebbero motivo di comportarsi così), e che ti guardano dall’alto in basso, come a dire: «Io sono un fenomeno e tu sei un poveretto?»
Ecco, queste persone sicuramente non creano rapport. Anzi, potremmo dire che sono davvero dei fenomeni a creare l’anti-rapport.
Non creano riconoscimento reciproco, non creano fiducia, non creano simpatia, non esprimono carisma.
Tutto quello che esprimono è paura, insicurezza, antipatia.
Pessima strategia che proprio non funziona da nessun punto di vista.
Puoi sottolineare le “cose simili”
In questo modo
crei Rapport
Sottolineare le “cose simili”, signifca “fare qualcosa per adeguare il proprio comportamento al comportamento dell’altra persona.
Una prima reazione molto frequente:
«Ahhhhh! Orrore! Ma siamo matti? Allora non posso essere me stesso? Dovrei “fingere?” Dovrei comportarmi in modo innaturale? Ma questa è manipolazione!»
No, non si chiama manipolazione. A casa mia, si chiama rispetto!
Non si tratta di essere o non essere sé stessi, non si tratta di cambiare quello che sei, si tratta solo di cambiare quello che fai.
È molto diverso!
Crei flessibilità nel tuo comportamento così da “parlare la stessa lingua” del tuo interlocutore, comunicare in modo più fluido ed efficace, così da creare rapport.
In quest’ultimo caso fai la cosa giusta!
Torniamo all’esempio di prima: una persona che parla lentamente e una che parla velocemente.
Faranno fatica! Uno dei due dovrà fare qualcosa!
Chi parla velocemente potrebbe rallentare, così che l’altro possa avere il tempo e lo spazio mentale da poter seguire.
Oppure, chi parla lentamente, potrebbe accelerare, così che l’altro non muoia di noia e perda l’attenzione in una manciata di minuti.
Nella vita reale, la maggior parte delle volte, le persone non prestano attenzione conscia a queste cose, e quindi non “fanno” nulla di proposito.
Si limitano a “essere sé stessi”, a continuare a fare ciò che hanno sempre fatto.
Certo, probabile che si sentano infastiditi uno dall’altro, ma magari non sanno bene perché.
Ma una persona informata, formata e consapevole, agirà nel modo giusto.
Farà qualcosa per adeguare alcune porzioni del proprio comportamento al comportamento dell’altra persona, così da creare rapport e una comunicazione più efficace.
Ricalco o Pacing
L’azione di adeguare elegantemente alcune porzioni del proprio comportamento a quello del proprio interlocutore, in PNL, si chiama “ricalco”.
Sono d’accordo, non è un nome bellissimo, ma rende l’idea: ricalcare con il proprio comportamento quello dell’altro.
In inglese, il ricalco ha un nome molto più elegante; si chiama “pacing”, che significa “camminare allo stesso passo”.
Perché quando si cammina allo stesso passo, si respira alla stessa frequenza, e si entra così in una naturale sintonia.
Inoltre, “pacing” rende molto meglio di “ricalco” il significato più profondo di ciò che queste parole dovrebbero esprimere: l’intenzione con la quale vai in ricalco per creare rapport.
L’importanza dell’intenzione
L’intenzione deve essere sempre eitca; “win-win”, e cioè “vinciamo entrambi”
Quello che voglio dire è che si tratta di strumenti semplici, ma di comprovata efficacia.
Stumenti potenti che vanno usanti in modo, appunto, etico, o, come diciamo in PNL, “ecologico”.
Veniamo quindi al dunque! Come andare in ricalco?
La prima cosa importante da dire è che ricalcare il comportamento non significa che devi fare “tutto” quello che fa l’altra persona.
Rispecchiare o riflettere tutto ciò che fa l’altro non crea certo rapport. Anzi, crea proprio l’effetto opposto.
La chiave è l’eleganza.
Si tratta di selezionare con attenzione alcuni comportamenti dell’altra persona e “restituirli”, così da creare quella “somiglianza”, quel magico “tu sei come me” e quindi mi fido di te.
Un buon comunicatore è una sorta di “meccanismo di bio-feedback”, nel senso che restituitsce ciò che arriva. Per esempio:
- tu sei seduto in modo comodo e informale, io mi siedo in modo comodo e informale;
- parli con un volume molto più basso del mio, abbasso il mio volume di voce;
- gesticoli molto meno di me, cerco di gesticolare meno, e così via.
Si tratta di fare qualcosa per entrare nel mondo dell’altra persona.
In un prossimo articolo, entreremo nei dettagli del ricalco in tutte le sue forme e dimensioni: ricalco verbale, non verbale, paraverbale e non solo.
Per il momento ti lascio con una bellissima definizione di ricalco che dobbiamo sempre a Jerry Richardson.
Ricalco
Andare incontro alla persona nel punto in cui si trova, riflettendo il suo comportamento e accordandosi alla sua esperienza.