Indice
Le prove della scienza
Le conclusioni della scienza
Le prove della fisica quantistica
Le prove dell'epigenetica
Le prove dell'etologia
Le prove della neurologia
«Siamo come isole nel mare, separate in superficie, ma connesse nel profondo»
William James
Ho voluto iniziare con questa citazione di William James, che esprime perfettamente il concetto fondamentale del quale oggi ti voglio parlare: a livello profondo siamo tutti connessi.
Nella nostra società occidentale, capitalistica, tecnologica e industrializzata, potrebbe sembrare un concetto controintuitivo, perché siamo stati “educati” a credere l’esatto contrario.
Siamo stati culturalmente condizionati, anche grazie al lavoro di Charles Darwin, a credere fortemente nella scarsità delle risorse e nella sopravvivenza del più forte.
Si è così sviluppata nel tempo una cultura dominante orientata all’individualismo e alla prevaricazione.
Attualmente però, la nuova “scienza di frontiera”, in numerose discipline, come la biologia, la neurologia, la sociologia e altre ancora, sta dimostrando che la condizione di lotta, di affermazione di sé anche a discapito degli altri, d’isolamento e divisione non è la nostra condizione o tendenza naturale.
Le prove della scienza
Al contrario, alla luce di nuove ricerche, esperimenti e conoscenze, sembra che la nostra inclinazione naturale come esseri umani sia quella della connessione e della reciproca collaborazione.
In un articolo precedente abbiamo visto quanto siano importanti il contatto e le relazioni umane per il nostro benessere generale, la nostra crescita e perfino per la nostra salute e longevità.
In questo articolo vedremo cosa significa esattamente la dichiarazione: “siamo tutti connessi”.
Sono consapevole che si tratti di un’affermazione a prima vista poco chiara, che potrebbe voler dire tutto ma anche niente!
Lynne McTaggart, giornalista e autrice di fama internazionale, che da sempre si occupa di scienza, nel suo bellissimo libro che, non a caso, si chiama “The bond” e cioè “Il Legame” (Titolo italiano: Il legame quantico), ce lo spiega.
L’autrice porta numerosissime evidenze scientifiche di quanto dicevamo, e cioè del fatto che:
- la nostra condizione naturale sia uno stato di profonda connessione uno con l’altro;
- la nostra naturale propensione e spontanea inclinazione sia quella della condivisione e della reciproca collaborazione.
Le prove e le evidenze che riporta provengono da diverse discipline:
- la fisica quantistica, e cioè la fisica delle particelle subatomiche;
- l’epigenetica, che è una branca della genetica che studia i cambiamenti ereditari nell’espressione genica che, a differenza delle mutazioni, non dipendono da cambiamenti nella sequenza del DNA. Secondo l’epigenetica, intensi stimoli ambientali (per es. dieta e attività fisica) sono in grado di attivare o spegnere determinati geni;
- l’etologia, che è una disciplina che studia le abitudini e i costumi degli animali, e l’adattamento delle piante all’ambiente;
- la neurologia, settore della medicina che studia il sistema nervoso.
Le conclusioni della scienza
Come Lynne McTaggart documenta nel suo libro “The Bond“, la scienza dimostra che tutto il creato, dai pianeti alle piante, dagli esseri umani alle formiche, è una sorta di “superorganismo” in continua mutazione.
Un immenso campo di energia impegnato in un costante e gigantesco scambio dinamico, nel quale ogni elemento interagisce e scambia costantemente informazioni con tutti gli altri.
I confini tra ogni cosa sembrano essere così sottili e indefiniti da arrivare a dire che nulla esiste indipendentemente, da chiedersi insomma dove finisca una cosa e ne inizi un’altra.
Sono consapevole che tutto questo, raccontato in termini così generali, possa apparire nebuloso e poco comprensibile.
In articoli successivi ti parlerò molto più dettagliatamente delle ricerche, degli esperimenti e delle prove che ognuna delle suddette discipline scientifiche porta a sostegno di questa tesi.
E se tutto questo è vero, come la scienza sta dimostrando esserlo, allora forse il nostro primo dovere come esseri umani è quello di riorientarci verso quello stato di naturale connessione che è la nostra condizione naturale.
Come poterlo fare? Anche solo divulgando queste informazioni e diffondendo la gentilezza.
Le prove della fisica quantistica
La fisica quantistica dimostra che le particelle subatomiche non funzionano secondo le stesse leggi fisiche che regolano il funzionamento dei “corpi grandi”, e cioè della materia come la conosciamo, che sia un’auto o una mela.
È controintuitivo, ma la materia, al suo livello più elementare, sembra essere fatta di qualcosa di diverso dalla materia stessa, e questo ha delle profonde implicazioni.
La McTaggart scrive:
«Una particella quantistica può esistere sia come particella, un oggetto solido, analogo a una pallottola, che come “funzione d’onda”, una grande regione diffusa dello spazio e del tempo, di cui la particella può occupare ogni angolo».
A tal proposito riporto anche un passo tratto dal bellissimo libro “Cambia l’abitudine di essere te stesso” di Joe Dispenza.
«Gli atomi sono formati essenzialmente da uno spazio vuoto; gli atomi sono energia.
Pensa a questo: tutto quello che c’è di fisico nella tua vita non è fatto solo di materia solida, ma piuttosto di campi di energia o da schemi ritmici di informazioni.
Tutta la materia è piuttosto “nessuna cosa” (energia) che “qualche cosa” (particelle) […]
L’atomo è al 99,99999 per cento energia e allo 0,00001 per cento materia. A livello di materia è quasi inesistente.»
Ma non è tutto qui!
Il collasso della funzione d’onda
Le particelle subatomiche, che si pensava fossero la materia che costituisce la materia, non solo non lo sono, ma hanno anche strani e inaspettati comportamenti.
Non essendo io una scienziata e tantomeno una fisica, lo spiego sempre attraverso le parole di chi ne sa più di me e ti ripropongo di nuovo un brano tratto dal libro del dr. Dispenza e più precisamente da un capitolo intitolato: “La creazione della realtà: l’energia risponde all’attenzione consapevole”
«Gli studiosi di fisica quantistica hanno scoperto che la persona che osserva (o misura) le minuscole particelle che formano l’atomo ne influenza il comportamento, l’energia e la sostanza.
Gli esperimenti quantistici hanno dimostrato che gli elettroni esistono simultaneamente in un’infinita gamma di possibilità e probabilità, e in un invisibile campo d’energia.
Ma è solo quando l’osservatore si concentra sulla posizione di un elettrone che quel dato elettrone appare.
In altre parole, una particella non può manifestarsi nella realtà, ossia nella nostra dimensione spazio temporale, finché non la osserviamo».
Le conclusioni che Lynne McTaggart trae, sempre nel suo libro “Il legame quantico”, è che siamo tutti parte di un unico tutto.
Ma preferisco che tu legga le sue stesse parole, che riporto qui di seguito, così che tu possa comprendere come tutto ciò che abbiamo appena visto dimostri che “siamo tutti connessi”.
Tratto da “Il legame quantico” di Lynne McTaggart
«Le particelle subatomiche come gli elettroni e i fotoni di per sé non sono ancora una vera e propria “cosa”.
Gli atomi non sono piccoli sistemi solari di palle da biliardo, ma piuttosto una piccola nube caotica di probabilità, esistendo in molti luoghi simultaneamente, in uno stato di “puro potenziale” o, come lo chiamano i fisici, di “sovrapposizione”; la somma di tutte le probabilità […]
In uno stato quantistico una particella esiste come collezione di tutti i possibili futuri simultaneamente, simile a una catena di bambole di carta replicata all’infinito.
Un elettrone “probabilmente” esiste finché gli scienziati non lo individuano ed effettuano una misurazione: soltanto a quel punto i suoi molteplici sé collassano e l’elettrone si stabilizza in un unico stato di esistenza […]
La materia nel mondo subatomico non può essere compresa isolatamente, ma soltanto all’interno di una complessa rete di relazioni, eternamente inscindibili […]
La relazione più irriducibile di tutte può essere quella tra la materia e la coscienza che la osserva: ciò che alla fine rende qualunque cosa reale è l’alchemico Legame tra osservatore e osservato […]
Non c’è nessun “noi” e “loro”, soltanto un “noi” in costante trasformazione. Con ogni respiro che facciamo co-creiamo il nostro mondo […]
I confini tra voi e chiunque altro sono sfuocati, dato che sono regolati da un complesso mix di scariche neuronali che hanno origine dall’interno e dall’esterno della vostra testa».
Le prove dell’epigenetica
L’epigenetica ha dimostrato che l’ambiente esterno può modificare l’espressione dei geni.
Ma come si è arrivati a queste conclusioni? Per comprenderlo al meglio abbiamo bisogno di un po’ di storia: cosa credevamo prima e cosa la scienza ha dimostrato oggi.
Per raccontare questa storia, riporto nuovamente alcuni brani tratti dal già citato libro della McTaggart.
L’evoluzione secondo Darwin
«Darwin descrisse l’evoluzione della specie essenzialmente come caso fortuito. Tutta la sua teoria della selezione naturale poggia su tre presupposizioni di base:
- tutti gli organismi discendono da un antenato comune;
- nelle specie i nuovi tratti evolvono attraverso mutazioni casuali;
- tali tratti persistono solo se aiutano la specie a sopravvivere.
Egli riteneva che le mutazioni avessero luogo all’interno degli organismi individuali essenzialmente come una sorta di errore di trascrizione tramandato alla discendenza.
Qualunque cambiamento permanente derivante da queste mutazioni permarrebbe all’interno di una specie unicamente se questo errore genetico provvedesse i membri di tale specie di un vantaggio per la sopravvivenza».
L’evoluzione secondo Lamarck
«Sul versante opposto, Lamarck vedeva l’evoluzione come un’impresa cooperativa tra un organismo e il suo ambiente.
Egli credeva “nell’ereditarietà dei caratteri acquisiti”, ovvero che un organismo, acquisendo determinate caratteristiche nel corso della sua vita in risposta alle sfide ambientali, avrebbe trasmesso tali caratteristiche alla sua discendenza.
Egli concluse che un organismo rispondeva al bisogno di evolvere e che questo bisogno produceva adattamenti favorevoli».
Comunque sia, entrambi credevano che il nostro “destino” fosse scritto nel nostro codice genetico e da questo determinato. Credevano inoltre che ogni cambiamento e/o adattamento alle sfide ambientali richiedesse eoni.
L’epigenetica
Waddington dimostrò, attraverso un esperimento sui moscerini della frutta, che le condizioni ambientali possono alterare il progetto genetico.
Ogni cellula del nostro corpo svolge specifiche funzioni, ma per poterle svolgere ha bisogno di un segnale esterno.
La membrana di ogni cellula contiene centinaia di migliaia di recettori. Questi regolano la funzione cellulare accendendo o spegnendo un certo gene anche in funzione di segnali ambientali: il cibo che consumiamo, l’aria che respiriamo, le tossine a cui siamo esposti, la qualità delle nostre relazioni sociali, il nostro stato d’animo e il nostro livello di soddisfazione nella vita.
Per dirlo in modo semplice, potremmo dire che le “condizioni ambientali” vincono sulla programmazione genetica, attivando e disattivando determinati geni.
L’esperimento di Waddington
Per rendere evidente nella pratica il significato di quanto sopra affermato ti racconto di un esperimento, che troverai sempre nel libro della McTaggart, svoltosi sui topi agouti.
I topi agouti sono topi che hanno un difetto genetico. A causa di questo difetto genetico il loro pelo è giallo invece che marrone, sono estremamente pigri, spesso enormemente obesi, con una tendenza a sviluppare diabete e cancro.
L’esperimento consistette nel nutrire la metà delle femmine aguoti con una dieta integrata da vitamina B prima di rimanere incinte, durante la gravidanza e l’allattamento, mentre l’altra metà riceveva soltanto cibo normale.
I risultati dell’esperimento: non solo i ricercatori scoprirono un’evidente differenza nel codice genetico dei topi le cui madri avevano ricevuto gli integratori, ma i cambiamenti nell’espressione genica furono evidenti anche a livello fisico.
Infatti, i topolini nati dalle madri che ricevettero la dieta arricchita, in una percentuale significativa, erano di un normale colore marrone e meno suscettibili alle suddette patologie. Inoltre, a differenza delle loro madri, la generazione successiva di topi visse una vita di durata normale.
A questo proposito Lynne McTaggart scrive le seguenti parole.
La relazione tra ambiente e alterazioni del codice genetico
«Questa fu la prima prova dell’esistenza di una chiara via causale tra l’ambiente di una madre animale e le alterazioni permanenti in un aspetto del codice genetico della sua discendenza […]
I geni, ben lungi dall’essere il centro di controllo, esistono, proprio come le particelle subatomiche, solamente come potenziale, per essere o non essere attivati da segnali esterni al nostro corpo.
La ricerca oggi indica che l’informazione in realtà si propaga in senso opposto, ovvero dall’esterno all’interno.
Un segnale ambientale di un certo tipo avverte il corpo che è necessario un determinato prodotto proteico, ed è il segnale ambientale esterno che attiva una particolare espressione genica.
L’intricato assortimento d’influenze ambientali alle quali veniamo esposti nel corso della nostra vita, di fatto determina l’espressione finale di ogni gene del nostro corpo.
I geni vengono attivati, disattivati o modificati dalle circostanze e dall’ambiente della nostra vita: ciò che mangiamo, le persone di cui ci circondiamo e il modo in cui trascorriamo la nostra vita.
Il nostro corpo fisico è il prodotto finale di una relazione
«Come le particelle subatomiche, il nostro corpo fisico non è un’entità separata, bensì il prodotto finale di una relazione […].
Uno dei più importanti interruttori ambientali può essere la qualità del nostro Legame con un gruppo sociale […]
La relazione tra un essere vivente e il sua ambiente è una conversazione ininterrotta a doppio senso. Nonostante gran parte di tale conversazione venga tracciata nei primi stadi della nostra esistenza, essa è una relazione per la vita, dinamica, fluida e addirittura reversibile.
Noi siamo un bilanciamento d’influenze interne ed esterne, di programmazione precoce e tardiva, costantemente trasformato dall’influenza di ogni istante.
Queste nuove scoperte suscitano l’inquietante domanda: dov’è esattamente che “voi” finite e il resto dell’universo inizia? Se interiorizzate e cambiate con ogni interazione con l’universo, con ogni particella di cibo che mangiate, cosa significa questo esattamente per voi? Come potete essere considerati autonomi?».
Le prove dell’etologia
L’attività del sole e i fermenti sociali
Come di consueto in questo articolo, inizio a raccontarti questa parte della storia attraverso le parole della McTaggart, prese sempre dal libro “The Bond“.
Nel 1922 Alexander Chizhevsky, giovane scienziato bielorusso, rivelò al mondo una teoria assurda: tutti i grandi sollevamenti della storia umana, come fermenti sociali, guerre e rivoluzioni erano provocati dall’attività del Sole.
All’epoca, questa nuova teoria, come spesso accade alle nuove teorie, venne contrastata in tutti i modi possibili e immaginabili, ma nel tempo venne rivalutata e Chizhevsky divenne un riferimento se non addirittura un eroe.
L’attività del sole e i cicli economici
Anni dopo, in America, l’economista Edward Dewey raccolse l’eredità di Chizhevsky per spiegare i cicli economici di boom e di crollo.
Successivamente, negli anni ’70, il biologo e fisico Franz Halberg, studiò a fondo gli effetti delle influenze ambientali esterne sugli esseri viventi.
La Cronobiologia
Fu proprio Halberg a coniare il termine “Cronobiologia“, scienza che studia i cicli ricorrenti della funzione biologica e a fondare la più importate istituzione per lo studio e la ricerca in questo campo, i Chronobiology Laboratories (Laboratori di Cronobiologia) dell’Università del Minnesota.
Halberg, nel corso della sua ricerca, insieme alla sua collaboratrice Cornélissen, scoprì che i processi biologici di ogni creatura vivente seguono ritmi giornalieri, settimanali, bisettimanali, annuali.
Nel tentativo di spiegare la causa dei ritmi biologici, finì per trovarsi d’accordo con le teorie di Chizhevsky: l’elemento o fattore che sincronizza questi ritmi biologici è un segnale ambientale esterno all’individuo, il più importante dei quali sono i campi magnetici solari.
Ma non è tutto qui, sembra che non solo il sole, ma anche la luna e addirittura gli altri pianeti interagiscano continuamente tra di loro, influenzandosi a vicenda e influenzando a loro volta tutte le creature viventi.
Insomma, per farla breve, un’enorme quantità di dati ed evidenze scientifiche dimostrano che gli esseri viventi risuonano in sintonia con il cosmo.
Come l’etologia dimostra che “siamo tutti connessi”
«Dobbiamo sviluppare un apprezzamento maggiore per il fatto di vivere all’interno di un legame cosmico d’interrelazioni complesse e in continuo mutamento.
Piuttosto che oggetti discreti, gli essere viventi e la Terra stessa sono parte di un sistema energetico dipendente da altre forze esterne, gravitazionali e geomagnetiche.
Halberg guarda questo effetto in una prospettiva poetica: l’organismo vivente, dice, dev’essere visto come una dinamo e un magnete, che vivono sulla terra, un magnete più grande, nell’atmosfera del Sole… con tempeste magnetiche che provocano blackout nelle città e… nei cuori umani.
L’importanza della scoperta di Chizhevsky e delle prove di Halberg non possono essere sopravvalutate. Se siamo essenzialmente alla mercé del minimo movimento del Sole e della sua attività, il loro lavoro si erge come una gigantesca confutazione della nostra mal riposta convinzione di essere i padroni dell’universo, o addirittura di noi stessi.
La Terra, i suoi abitanti e tutti gli altri pianeti che ci circondano esistono all’interno di una sfera d’influenza collettiva, risonanti all’unisono.
Il nostro zeitgeber è l’effetto collettivo di tutto il sistema solare. In ultima analisi, è difficile considerare il nostro universo come qualcosa di diverso da un insieme unificato.
Possiamo iniziare ad assumerci la responsabilità del nostro destino solo quando consideriamo il Legame nella sua interezza, come un superorganismo, completamente interrelato».
Le prove della neurologia
A proposito delle prove della neurologia ti parlerò di una famosa scoperta che avvenne presso l’Università di Parma grazie a un neurologo italiano, Giacomo Rizzolatti.
Una scoperta delle quale abbiamo già accennato in un articolo precedente: “Crea una relazione di fiiducia“
Il professor Rizzolatti era particolarmente interessato alla funzione cognitiva nel movimento. Il suo scopo era quello di comprendere l’esatta sequenza cerebrale che trasforma l’informazione visiva in azione. Per dirlo in modo ancora più semplice, Rizzolatti voleva capire cosa succede nel cervello nel breve istante che intercorre tra il momento in cui vediamo qualcosa e il momento in cui allunghiamo la mano per prenderla.
A questo scopo, svolgeva degli esperimenti con delle scimmie, dei macachi pigtail e una costosissima apparecchiatura che emetteva un segnale sonoro ogniqualvolta un neurone scaricava.
Il poter prendere nota dell’esatto momento in cui un neurone scaricava gli consentiva di capire quali neuroni cerebrali fossero coinvolti nella sequenza motoria del movimento.
La scoperta dei neuroni specchio
Ciò che avvenne è semplice, ma portò a una scoperta rivoluzionaria: mentre uno dei ricercatori del team di Rizzolatti allungava la mano per prendere un oggetto, la macchina segnalò che i neuroni della scimmia che lo stava osservando, stavano scaricando.
Al momento, Rizzolatti e il suo team non diedero molta importanza a quanto avvenuto, perché pensarono che la scimmia avesse mosso leggermente un dito o la mano o che ci fosse un difetto nel funzionamento dell’apparecchiatura.
Tutto questo si ripetè per mesi e gli scienziati continuarono a liquidare il fatto giustificandolo in un modo o nell’altro, ma infine compresero di non poter più ignorare il fenomeno e decisero di indagarlo.
Si rese conto così di qualcosa di totalmente inaspettato: lo stesso identico neurone della scimmia che scaricava quando lei intendeva afferrare un oggetto, scaricava anche quando osservava qualcun altro afferrarlo.
In tutto questo, un aspetto affascinante è che il neurone della scimmia scaricava non solo quando osservava un’altra scimmia prendere un oggetto, ma anche quando osservava un umano, creatura di una specie diversa.
La conclusione a cui giunse Rizzolatti è che i primati, come gli esseri umani, comprendono le azioni altrui simulando l’esperienza, come se stesse accadendo a loro.
Perciò, la funzione di questi neuroni “pappagallo”, che chiamò “neuroni specchio” sembrava essere duplice:
- stimolare i muscoli all’azione
- comprendere l’azione altrui.
Dal movimento all’emozione
Nel tempo Rizzolatti e il suo team scoprirono che i neuroni specchio non si limitano a replicare e a prendere nota del movimento altrui, ma sono anche capaci di replicare e prendere nota delle emozioni altrui.
Perciò, le stesse aree del nostro cervello che si attivano quando sperimentiamo emozioni come la gioia o il dolore, si attivano anche quando osserviamo qualcun altro sperimentare emozioni.
Lo scopo dei neuroni specchio è quindi quello di capire cosa stia facendo un’altra persone e come si senta al riguardo.
L’importanza dell’obiettivo
Ma la storia non finisce qui. Proseguendo nelle sue ricerche, Rizzolatti si rese conto che tutto questo è vero a una condizione: l’obiettivo dell’azione osservata deve essere chiaro.
Per dirlo in altro modo: se l’obiettivo dell’azione osservata non è chiaro, i neuroni specchio non scaricano.
Perciò, lo scopo dei neuroni specchio non è soltanto quello di capire cosa stia facendo un’altra persone e come si senta al riguardo, ma anche quello di capire perché lo stia facendo.
«Come l’opera dello scienziato chiarisce, la percezione del mondo non è una faccenda individuale, limitata alle nostre capacità mentali, bensì un processo che implica una condivisione di circuiti neurali.
Noi interiorizziamo l’esperienza altrui in ogni istante, automaticamente e immediatamente, senza alcuno sforzo consapevole, utilizzando una stenografia neurale creata dalla nostra stessa esperienza.
Nell’atto stesso di collegarci con qualcuno, anche al livello più superficiale, siamo coinvolti in una relazione di massima intimità.
La comprensione delle complessità del nostro mondo, avviene attraverso la costante fusione dell’osservatore con l’osservato.
Keysers riconosce che ci sono sempre due punti di vista nell’atto della percezione: «Durante la maggior parte delle interazioni sociali non c’è un singolo agente e un singolo osservatore”, egli scrive. «Entrambi i partner sono allo stesso tempo osservatori e agenti, allo stesso tempo fonte e bersaglio del contagio sociale che il sistema dei neuroni specchio trasmette»
Osservare qualcuno è interiorizzare immediatamente il suo punto di vista. Questo significa che l’atto stesso dell’osservare un’altra persona ci coinvolge immediatamente in un Legame in cui noi, il soggetto, ci fondiamo con il nostro oggetto.
Per così dire, per poter comprendere un’altra persona, dobbiamo temporaneamente fonderci con lei […]
L’atto della percezione è un momento di perfetta unione, non importa con chi».
Entrainment
“Entrainment” significa “trascinamento” ed è una parola che descrive diversi fenomeni.
In questo caso si riferisce alle onde cerebrali di due o più cervelli che entrano in sintonia, proprio come se le frequenze elettriche dei cervelli si “trascinassero” reciprocamente.
Il che significa che le onde elettriche dei cervelli di due o pià persone sono “coerenti” le una con le altre:
- la frequenza e l’ampiezza delle onde cerebrali è la medesima;
- le onde cerebrali giungono simultaneamente ai picchi e agli avvallamenti.
Questo avviene in diverse circostanze, e particolarmente;
- tra la mamma e il bambino quando sono insieme;
- quando due persone fanno qualcosa insieme con un unico scopo.
Sempre nel suo libro “The Bond“, la McTaggart riporta numerose evidenze scientifiche di questo fenomeno di spontanea e naturale “risonanza” tra le menti di noi esseri umani.
La nostra luce
Un’altra storia affascinante è quella che ci racconta Fritz-Albert Popp, fisico tedesco.
Nel 1970, Popp scoprì che ogni creatura vivente, dalla più complessa, come gli esseri umani, alla più semplice come le piante unicellulari, emette una piccola corrente di fotoni, o luce, che egli chiamò “emissioni biofotoniche”.
Popp, e una quarantina di altri scienziati in tutto il mondo, studiarono le emissioni biofotoniche per oltre 30 anni e fecero molte scoperte interessanti.
Secondo questi scienziati gli organismi viventi utilizzano questa luce come mezzo di comunicazione, sia al proprio interno che con il mondo esterno.
Verso l’interno:
- le emissioni biofotoniche operano nel DNA, dando origine a certe frequenze all’interno delle molecole delle singole cellule;
- piuttosto che il DNA, è proprio questa debole radiazione il vero conduttore di tutti i processi cellulari del corpo.
Verso l’esterno:
- gli esseri viventi assorbono reciprocamente la luce emessa dall’altro. Quando un organismo assorbe le onde luminose di un altro invia poi, di rimando, schemi d’interferenza d’onda. In questo modo, gli organismi viventi scambiano informazioni, come se stessero conversando.
Il lavoro di Popp dimostra che con questa piccola corrente di emissioni biofotoniche noi creiamo un Legame quantistico con il nostro mondo. Con ogni momento di veglia, noi assorbiamo la luce di qualcos’altro.